Centrafrica: l'Ua condanna golpe, missionari denunciano saccheggi e violenze
Il leader dei ribelli Seleka, Michel Djotodia, si è autoproclamato nuovo presidente
della Repubblica Centrafricana, dopo che le sue forze hanno assunto il controllo della
capitale Bangui. I ribelli Seleka nel corso degli ultimi due giorni hanno completato
la loro avanzata conquistando la capitale, il palazzo presidenziale e le stazioni
radio e tv, mentre il presidente, Francois Bozizé, al potere da dieci anni, abbandonava
il Paese per rifugiarsi al momento in Camerun. Il Consiglio per la pace e la sicurezza
dell'Unione Africana ha sospeso la partecipazione della Repubblica Centrafricana a
tutte le attività dell'Unione e ha posto sanzioni nei confronti di sette ribelli del
gruppo della Seleka, compreso il suo leader. A Bangui, la situazione è drammatica.
Fonti religiose contattate sul posto raccontano di una città messa a ferro e a fuoco
dai ribelli. Fausta Speranza ha chiesto notizie a don Fausto Brioni,
direttore dell’emittente ligure Telepace-Chiavari che da quasi 20 anni si reca periodicamente
nel Centrafrica:
R. – Abbiamo
notizie di grande preoccupazione. Ho sentito le Suore Clarisse di Bouar, dove hanno
un monastero di vita contemplativa, e le notizie che le avevano raggiunte erano molto
preoccupanti perché sembrava ci fosse un’invasione di ribelli anche nella città di
Bouar, che è nel Nord della Repubblica Centrafricana. Poi, questa sembra che sia stata
sospesa ma loro avevano paura perché sanno di saccheggi, di danneggiamenti in modo
particolare nei riguardi delle missioni cattoliche. E così, da ieri sera si sono trasferite
nel seminario dei frati per essere maggiormente protette. Ma è una situazione che
tocca diverse famiglie religiose presenti a Bouar e tutta la popolazione, che vive
nella trepidazione. Mi dicevano che ieri c’era tanta, tanta paura per il Paese, per
la brousse, per la savana lì intorno.
D. – Ci dice qualcosa di più
di questi missionari che sono in Centrafrica?
R. – In Centrafrica, io conosco
in particolare quelli che sono nella zona del Nord, vicino al confine con il Ciad.
Ci sono i Padri cappuccini, i Padri francescani, i Padri carmelitani e i Betharramiti
che provengono dall’Italia, in modo particolare le famiglie Francescane e i Carmelitani
provengono dalla Liguria. Poi, c’è la presenza delle Suore Francescane e delle Suore
Clarisse, che hanno un monastero di vita contemplativa da ormai 20 anni nella Repubblica
Centrafricana. I religiosi sono al servizio di questa popolazione, in modo particolare
impegnati, oltre che nell’evangelizzazione che viene svolta capillarmente – hanno
molte parrocchie sia nella città sia nella savana – anche nella scuola: sono molte
le scuole cattoliche. Purtroppo, la scuola statale non funziona in quella realtà così
povera: ricordiamo che il Centrafrica è uno dei Paesi più poveri del mondo. E poi,
le missioni sono impegnate nella sanità, in modo particolare c’è l’ospedale di Maigaro
a Bouar: un ospedale pediatrico molto qualificato nel quale lavorano le Suore Francescane
di Gemona. Tutte sono fortemente preoccupate perché in questi anni, con tanta fatica,
si sono messe a servizio della popolazione: fanno cose straordinarie, e temono che
tutto questo lavoro venga vanificato dalla violenza.
D. – Purtroppo, sappiamo
bene che dove c’è violenza è facile che si aggiunga violenza a violenza. Noi sappiamo
di ribelli che hanno una serie di rivendicazioni nei confronti del governo: questo,
certo, non dovrebbe significare saccheggi contro la popolazione e attacchi così ai
centri cristiani… Che idea vi siete fatti di queste violenze? Chi c’è dietro a queste
violenze?
R. – Da quanto mi dicevano, al di là del fatto che il Centrafrica
purtoppo ha vissuto in questi ultimi anni un susseguirsi di rivolte segnate sempre
dai saccheggi nei riguardi della popolazione già poverissima, dietro la situazione
attuale c’è di tutto: c’è sicuramente la volontà da un lato positiva di creare qualcosa
di nuovo, un regime autenticamente democratico. Ma dietro a questa si nascondono interessi
diversi: forse anche una certa volontà di islamizzare la zona subsahariana di alcuni
all’interno del Seleka, questa formazione di ribelli che sta guidando questo processo
di guerra civile. Ci sono molte presenze di islamisti fondamentalisti, si dice. E
poi, certo, c’è la volontà di saccheggiare, di portare via qualcosa: in un Paese così
povero, anche il poza hco che si trova costituisce una ricchezza.
Del
golpe nella Repubblica centrafricana Fausta Sperana parlato con il prof. Aldo
Pigoli, docente di Storia dell’Africa contemporanea all’Università Cattolica di
Milano:
R. – Quella
del Centrafrica è una situazione di crisi come negli ultimi anni se ne sono viste
in altri Paesi dell’Africa subsahariana. Ricordiamoci che, contemporaneamente alla
crisi in Centrafrica, c’è quella che va avanti da un po’ più di tempo che è quella
del Mali, proprio nell’Africa centrale. Poi, ci sono le crisi nel Sud Sudan, nel Nord
dell’Uganda o nella Repubblica Democratica del Congo. Nel caso del Centrafrica, si
tratta di un Paese che da sempre, fin dall’indipendenza, ha sofferto di grave instabilità
politica e istituzionale e negli ultimi anni – a partire dagli anni Novanta in poi
– si sono avute diverse situazioni di crisi e di colpi di Stato, come l’ultimo al
quale abbiamo assistito in questi giorni.
D. – Quali i possibili sbocchi?
R.
– Possono succedere diverse cose. Innanzitutto, bisogna verificare cosa i ribelli
realmente vogliono e da chi sono sostenuti: le rivendicazioni di fondo sono quelle
legate al mancato adempimento degli Accordi di pace del 2008. Il governo che in questo
momento è in fuga – si pensa nella Repubblica Democratica del Congo – e l’attuale
presidente sono accusati di non avere rispettato questi Accordi e soprattutto di non
avere dato ai ribelli, agli ex-ribelli, le spettanze economiche che erano state loro
promesse per il disarmo. Se queste sono le rivendicazioni, molto probabilmente la
crisi potrà rientrare a breve anche attraverso una forma di transizione e di accordo
con il vecchio regime; se invece sono altre, che riguardano la dimensione più ampia
del disagio politico-sociale del Paese, della cattiva ridistribuzione delle risorse
o della corruzione della quale è accusato il governo in fuga, allora l’instabilità
potrebbe protrarsi più a lungo. Dipende anche dal ruolo della comunità africana e
internazionale in generale: il Centrafrica, così come anche altri Paesi – come il
Mali – è da sempre un Paese importante per i francesi, che sono anche intervenuti
in questa crisi, e quindi bisognerà vedere anche il ruolo politico e militare svolto
dai francesi così come dalla comunità africana in generale.
D. – Ma sappiamo
chi sono questi ribelli?
R. – La ribellione va inquadrata in due fasi: la più
vecchia, cosiddetta “guerriglia del bush” del Centrafrica, che va avanti dal 2004,
che ha avuto una prima fase dal 2004 al 2008. Poi, una più recente che è incominciata
verso la fine del 2012 e che ha portato nel giro di pochi mesi alla conquista di Bangui
da parte delle forze ribelli. Loro si rifanno a questo coagulo di formazioni politico-militari
che va sotto il nome locale di “Unione”, coordinamento politico-militare di diverse
organizzazioni che rivendicano varie cose tra cui, appunto, la mancata ed equa ridistribuzione
dei proventi economici ed il rispetto degli accordi del 2008.