Il ricordo di mons. Giovanni Nervo: con la Caritas a servizio degli ultimi
“Un gigante della carità”: così si ricorda mons. Giovanni Nervo, spentosi venerdì
scorso a 94 anni. Padovano, in gioventù assistente delle Acli e cappellano di fabbrica,
mons. Nervo ha per primo guidato e organizzato per 15 anni la Caritas italiana, ha
creato la Fondazione Zancan e presieduto l’Associazione nazionale di volontariato
della Protezione Civile. Una vita all’insegna del servizio e dell’accoglienza agli
ultimi, una scelta maturata sin dall’infanzia, come ricorda mons. Giuseppe Pasini,
amico e successore di mons. Nervo alla guida della Caritas. Gabriella Ceraso
lo ha intervistato:
R. – Credo che
nascesse anzitutto da un’esperienza di povertà che lui ha fatto, perché è nato povero
e vissuto povero. E' vissuto sempre con uno stile di grande sobrietà, perché portava
avanti l’idea che quando noi consumiamo il superfluo è come se rubassimo ai poveri.
E personalmente ha vissuto questa convinzione profonda anche quando ha amministrato
miliardi, quando era presidente della Caritas. E ha mantenuto la sua povertà fino
alla morte. Prima di morire, ha lasciato alla Caritas qualche suo risparmio, perché
provvedesse ai suoi funerali, perché non voleva essere di peso alla sua comunità.
E praticamente, è morto senza nulla.
D. – Mons. Nervo tra le altre cose ha
creato la Fondazione Zancan, una fondazione di studio e di sperimentazione sia di
politiche sociali sia dei servizi sociali: da cosa nasce questa intuizione?
R.
– Lui vedeva importante che non ci si limitasse a fare un po’ di assistenza ai poveri,
ma si lavorasse anche per una struttura di vita sociale tale da consentire ai poveri
di sentirsi uguali agli altri. E siccome si tratta di affrontare i problemi di concreti
della gente, dentro alla Fondazione Zancan lui ha voluto aprire sempre al dialogo
non solo con le forze cattoliche, ma anche con altre che avessero una ispirazione
magari diversa ma che fossero disponibili a mettersi in discussione per cercare il
meglio per le fasce più deboli.
D. – Mons. Nervo ebbe la possibilità di chiedere
direttamente a Paolo VI quali fondamenta dovessero sorreggere la Caritas, nata appunto
dalla sua intuizione. Quali sono stati i binari che lo hanno sempre guidato in questa
attività?
R. – Accompagnare le comunità cristiane affinché diventassero soggetto
di carità e perché attuassero al loro interno la scelta preferenziale dei poveri.
La seconda idea che ha portato avanti è che il primo gradino della carità è la giustizia:
quando è stato eletto Papa Francesco, lui ha avuto un sussulto, una grande gioia perché
diceva: “Le grandi idee che noi abbiamo portato avanti hanno trovato la loro esaltazione
maggiore, proprio nel nuovo Papa”.
D. – Nel suo operato, tanto spazio è stato
riservato anche ai giovani, al volontariato…
R. – Al volontariato sì, ma nella
cornice di una visione della carità concepita come condivisione: quello che noi abbiamo,
quello che noi siamo è dono di Dio, il Signore i doni li dà all’uno o all’altro, ma
perché siano di tutti. La seconda cosa è che la carità costruisce comunione e costruisce
la pace.
D. – Mons. Nervo fu anche colui che nel 1976 chiese e ottenne che
la Caritas accogliesse gli obiettori di coscienza in Servizio civile. Ci sono stati
tanti frutti…
R. – Nella Convenzione della Caritas, sono passati circa 100
mila giovani: sono giovani che hanno maturato nel servizio ai poveri – perché questo
facevano – hanno maturato molte volte anche delle scelte profetiche per la loro vita:
40 obiettori ogni anno – mediamente – hanno fatto la scelta di consacrazione al sacerdozio.
Quindi, mons. Nervo ha dato un contributo al volontariato, ma ha dato un contributo
anche alla causa della pace.
D. – Un’idea che è viva, che è feconda ancora
e che ha seminato nella Caritas mons. Nervo è quella dei gemellaggi tra le varie comunità
ecclesiali come strumento di ricostruzione dopo le grandi tragedie…
R. – Una
cosa avevamo avvertito è che la "vera caritas" – la carità vera – è quella che aiuta
le persone fin dove emerge il bisogno. E allora ecco: il gemellaggio vuol dire che
c’è una diocesi che si faceva carico di creare accanto a ciascuna parrocchia una specie
di presidio, affinché si stesse accanto alla gente e perché le persone sentissero
che non erano abbandonate.