Iraq: ondata di attentati nel decimo anniversario della seconda Guerra del Golfo
Nel decimo anniversario della caduta di Saddam in Iraq, ieri nel Paese 15 autobombe
hanno provocato oltre 60 vittime soprattutto tra gli sciiti. E’ l’ultimo di una serie
di attacchi che negli ultimi giorni hanno sconvolto il Paese, tanto da indurre il
governo a rinviare, per motivi di sicurezza, le elezioni provinciali in programma
il 20 aprile. Mentre l’ex premier britannico Blair ha difeso l’intervento militare
di 10 anni fa da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti ma alla quale diversi
Paesi non parteciparono in assenza di un mandato da parte delle Nazioni Unite, il
presidente americano Obama in un messaggio ha reso omaggio ai circa 4.500 soldati
uccisi. Servizio di Francesca Sabatinelli:
Dieci anni
dopo, attentati, sangue e morti non abbandonano l’Iraq. L’intervento americano doveva
portare alla democrazia un Paese massacrato dal regime di Saddam Hussein, quel Paese
oggi è ben lontano dall’immagine disegnata dall’allora guida della casa bianca, George
W. Bush. Dieci anni in cui almeno 112mila civili sono morti. E’ lo stesso governo
di Baghdad a fornire cifre raccapriccianti, tra gennaio e febbraio di quest’anno sono
morte oltre 450 persone, uccise da bombe o attacchi armati. E a più di un anno dalla
partenza degli ultimi soldati americani, era il dicembre 2011, i suoi abitanti sono
stremati, la maggior parte dei cristiani sono fuggiti per cercare riparo altrove.
La lotta fratricida tra sunniti e sciiti, maggioranza nel Paese, è senza esclusione
di colpi. L’eredità di quella guerra iniziata dieci anni fa è ben visibile, testimoniata
dai fori di proiettili sui muri, dagli edifici colpiti dai bombardamenti americani
e non ancora ricostruiti. Chiunque in questo Paese ha perduto qualcuno di caro negli
anni che hanno seguito l’invasione americana. L’ amministrazione Bush sperava con
l’attacco del 20 marzo 2003 di sbarazzarsi delle armi di distruzione di massa, peraltro
mai trovate, e di disfarsi di un regime brutale per rimpiazzarlo con una leadership
in odore di democrazia di stampo occidentale. Dieci anni dopo, quest’ultimo punto
è ancora aperto, e l’Iraq è un paese che ancora non conosce pace, con un premier Al
Maliki che più che a Washington guarda a Teheran. Non mancano tuttavia i segnali di
progresso, l’Iraq ha rimpiazzato l’Iran al secondo posto nell’Opec, Organizzazione
dei paesi produttori di petrolio. Nella capitale, Baghdad, si cerca di dare vita a
nuove attività, sorgono nuovi centri commerciali, lussuosi hotel vengono edificati
in diverse parti del paese. C’è un cambiamento, ma non veloce quanto i cittadini,
i giovani soprattutto, si aspetterebbero. Eppure loro per primi testimoniano che per
quanto grandi corruzione e distruzione possano essere, le mani degli iracheni che
lavorano per costruire un futuro sono tante.