Il nome Francesco dice già tutto del nuovo Papa: il commento del filosofo, Massimo
Cacciari
La scelta del nome Francesco dice già tutto del nuovo Papa, il suo modo d’intendere
la sua funzione, il suo rapporto con tutte le persone: è quanto sostiene il filosofo
Massimo Cacciari. Sentiamo la sua riflessione al microfono di Adriana Masotti:
R. - Mi pare
sia evidente: ha assunto un nome straordinario, per la prima volta e non a caso. Quindi,
è chiaro che sarà un Papa che cercherà di svolgere il proprio ministero con una sensibilità
altissima per il povero. E’ un richiamo fortissimo per la Chiesa alla povertà. Ed
è evidente anche la ripresa del senso della rinuncia di Papa Ratzinger. Humilitas
et paupertas sono le grandi virtù francescane e quindi con il nome che ha assunto
ha detto tutto quello che doveva dire. Il resto non sono nient’altro che conseguenze
di questa scelta, che - ripeto - è una scelta assolutamente straordinaria, come quella
che aveva fatto Bendetto XVI. Non a caso, nessun Papa aveva - diciamo pure - “osato”
chiamarsi Francesco. Quindi, se in questo caso ha osato chiamarsi Francesco, dovrà
pure dire qualcosa.
D. - Le categorie che sempre si usano - progressista,
conservatore - sono rispuntate fuori anche a proposito del nuovo Papa. Secondo lei
sono valide oggi?
R. - Non sono valide neanche sul piano politico, si figuri
se sono valide sul piano religioso o spirituale. Certo che, come sempre per quanto
riguarda i vescovi, anche i più grandi dell’America Latina, può darsi che vi sia una
certa tensione tra la linea di umiltà, di povertà, di radicale vicinanza e prossimità
al povero, che spesso questi grandi vescovi interpretano e incarnano, e la posizione
dal punto di vista teologico, etico, scarsamente in sintonia con le società più secolarizzate
dell’Occidente. Bisogna vedere… Certo, i problemi saranno colossali. Poi, c’è un altro
segnale che è duplice, diciamo contradditorio: questa è la prima volta non soltanto
di Francesco, ma è la prima volta dell’extra europeo. Questo resta un fatto colossale,
colossale. Testimonia in positivo per un verso la cattolicità autentica e per l’altro
un segnale che potrebbe essere letto anche drammaticamente di perdita proprio di centralità
europea sotto ogni profilo. Abbiamo perso sotto il profilo economico, ora anche sotto
il profilo culturale e spirituale. Non è una cosa da niente per la Chiesa: la Chiesa
ha avuto i suoi cardini in Europa, non c’è niente da fare. La Chiesa è stata, per
secoli e secoli, Chiesa europea. Cosa comporterà questo e quali saranno le conseguenze
di questo? E’ facile dire cattolicità, cattolicità… Sì, certo c’è questa dimensione,
ma come di ogni cosa c’è anche l’altra faccia…
D. - Un riferimento all’omelia
che ha pronunciato alla sua prima messa da Papa. Ha detto: “Bisogna avere il coraggio
di camminare con la Croce del Signore, senza la Croce siamo mondani, bisogna camminare
nella luce, vivere con irreprensibilità...". Insomma, confessare Gesù Cristo, altrimenti
"diventeremo una ong assistenziale”…
R. - Ha perfettamente ragione. Non c’è
dubbio alcuno. Se la Chiesa si declina soltanto sotto il profilo etico, per quanto
nobile, sotto il profilo socio-politico, per quanto nobile, non è più la Chiesa. La
Chiesa deve predicare il Verbo e da ciò, di conseguenza, tutto il resto. Ma se dimentica
il paradosso iniziale, lo scandalo iniziale da cui nasce…
D. - Lo scandalo
della Croce?
R. - Quello è lo scandalo: la follia. E’ una follia. Il logos
della Croce è una moria per il mondo. Detto questo, però, la Chiesa - e questo sarà
il problema di questo Papa - deve anche essere nel mondo, deve saperne i linguaggi,
deve saperlo ascoltare, deve essere in grado di capire cosa dice il mondo nel XXI
secolo.