Egitto: 21 condanne a morte, 28 assolti per la strage di Port Said. Caos nella città
Egitto. E’ arrivata oggi l’attesa sentenza per le violenze allo stadio di Port Said
del 1 febbraio 2012, in cui persero la vita 74 persone. La Corte ha confermato in
appello 21 condanne a morte, 5 ergastoli, 19 pene detentive più brevi, mentre 28 imputati,
tra cui diversi poliziotti, sono stati assolti. La sentenza ora passerà al vaglio
del Gran Muftì ma nella città è scoppiato subito il caos: data alle fiamme la sede
della polizia e altri locali; alcuni manifestanti hanno bloccato il transito dei traghetti
verso Suez, mentre il governo ha deciso di schierare l’esercito e dichiarato lo stato
di emergenza nel Sinai dove si temono attacchi dei jihadisti contro la polizia. Cecilia
Seppia ha sentito Michele Zanzucchi direttore del periodico Città Nuova:
R. - Questa
sentenza così dura e così radicale, suscita davvero un certo timore: evidentemente
la situazione sta sfuggendo di mano e quindi si stanno cercando di porre degli atti
che diano un po’ di calma al Paese. Ebbene, questa sentenza, che ha una forte connotazione
politica, s’inserisce nella lista di notizie che sono arrivate in questi ultimi giorni
e in questi ultimi mesi sulla situazione di conflittualità e di instabilità del Paese.
La visita del segretario di Stato Usa John Kerry non è riuscita a calmare le acque,
anzi probabilmente le ha turbate ancora di più.
D. - Una sentenza che, comunque,
deve essere ancora convalidata dal Gran Muftì: quindi resta ancora provvisoria ma
nella città è già scoppiato il caos?
R. - Non c’è nulla di definitivo in questo
momento in Egitto! Le sentenze vengono annullate, vengono riproposte; le decisioni
presidenziali vengono sottoposte al giudizio di diversi organi dello Stato... Bisogna
che l’autorità statale riprenda una certa autorità, perché altrimenti non si riuscirà
ad uscire da questa situazione. Penso comunque che non si arriverà all’esecuzione
dei condannati.
D. - Sul fronte politico sono saltate le elezioni di aprile
decise dal presidente Morsi, attraverso questo decreto che poi è stato giudicato incostituzionale
per gravi vizi procedurali. Insomma, lo stallo politico nel Paese sembra non avere
fine…
R. - Sembra non aver fine e probabilmente durerà ancora per un certo
periodo. Si sottovaluta in questo momento la gravissima situazione economica del Paese.
I salari cominciano a non essere pagati anche da parte dello Stato; la disoccupazione
ha raggiunto livelli elevatissimi e quindi l’emigrazione dei giovani aumenta ulteriormente;
le conflittualità tra musulmani più radicali e la piazza che ha provocato, che ha
sostenuto e che sta portando avanti tutt’ora la cosiddetta “primavera araba” o “transizione
araba”: ebbene, tutto questo dice che nel breve periodo è difficile che si possa arrivare
ad una situazione di stabilizzazione. Certamente questi Paesi, però, hanno delle risorse
inaspettate e quindi se ci fosse un convergere tra il presidente Morsi e l’opposizione
attorno ad alcuni temi potrebbe darsi che la situazione si calmi, anche con una certa
rapidità.
D. - C’è anche questo strano conflitto tra il governo, in particolare
il ministero dell’Interno, e la polizia: ricordiamo che ieri 30 commissariati hanno
chiuso i battenti dopo la rimozione del capo della polizia antisommossa e addirittura
si sono rifiutati di difendere la sede del partito dei Fratelli musulmani al Cairo.
Le forze dell’ordine sembrerebbero schierate - diciamo - dalla parte dei cittadini…
R.
- Diciamo che, dopo la destituzione di Mubarak, l’esercito ha perso in qualche modo
parte del suo potere. L’esercito, che era la garanzia assoluta della stabilizzazione
del Paese, ha fatto poi la scelta di sostenere Morsi e allora si è schierato, in qualche
modo, con i Fratelli musulmani per cercare di contenere le proteste di piazza e per
dare una certa stabilità al Paese. La polizia, che non è direttamente dipendente dall’esercito,
sta facendo un gioco un po’ originale effettivamente, schierandosi dalla parte della
popolazione, ma questo non è altro che un sintomo della destabilizzazione che c’è
e del fatto che i temi di libertà e di giustizia, che sono stati propugnati da Piazza
Tahrir e da tutti gli altri, sono ancora ben vivi nella popolazione. Quindi anche
i provvedimenti del governo Morsi che vadano contro questa libertà, anche ogni provvedimento
che imbrigli un po’ la capacità della popolazione di dire la sua, ebbene questo non
sarà accettato!