Benedetto XVI: l'unità è il "biglietto da visita" della Chiesa
“Il centro di una vita felice, di una vita vera, è l’amicizia con Gesù”. Questo insegnamento
di Benedetto XVI appare particolarmente in sintonia con il momento che vive la Chiesa,
alla vigilia di un nuovo Conclave. Dal magistero del Papa emerito arriva l’invito
all’unità più piena, quella che è dono dello Spirito Santo, perché è quella che trasforma
i cuori e dona la gioia, che è segno della presenza di Dio nella Chiesa. Riascoltiamo
le parole di Benedetto XVI nel servizio di Alessandro De Carolis:
Duemila anni
di esperienza di comunione nella Chiesa non hanno mai eliminato il pericolo della
divisione. Per via della debolezza umana, che non risparmia nessun cristiano, allo
stabat coraggioso sul Calvario c’è il rischio di preferire una più esaltante
ascesa sulla torre di Babele. Da entrambi le sommità si vede il cielo, ma solo in
un caso si tocca Dio. E solo in un caso, in presenza di una precisa caratteristica
che è dono di Dio, si può parlare dell’esistenza della Chiesa, come molte volte affermato
da Benedetto XVI:
“L’unità; perciò l’unità è il segno di riconoscimento,
il ‘biglietto da visita’ della Chiesa nel corso della sua storia universale”.
(Omelia di Pentecoste, 23 maggio 2010)
Una unità, ha detto in un’altra
occasione, che non livella nessuno, né gli individui né il corpo nel suo insieme:
“Al
contrario, questo è piuttosto il modello di Babele, cioè l’imposizione di una cultura
dell’unità che potremmo definire ‘tecnica’. La Bibbia, infatti, ci dice che a Babele
tutti parlavano una sola lingua. A Pentecoste, invece, gli Apostoli parlano lingue
diverse in modo che ciascuno comprenda il messaggio nel proprio idioma. L’unità dello
Spirito si manifesta nella pluralità della comprensione”. (Omelia di Pentecoste,
23 maggio 2010)
La differenza tra la Chiesa-comunione e la Babele della
disunità sta tutta nel verificarsi di un incontro, quello con Cristo. Un incontro
che, ha ripetuto ad oltranza Benedetto XVI, avviene con una “Persona viva non un’idea":
“L’incontro
con Cristo rinnova i nostri rapporti umani, orientandoli, di giorno in giorno, a maggiore
solidarietà e fraternità, nella logica dell’amore (...) è un cambiamento che coinvolge
la vita, tutto noi stessi: sentimento, cuore, intelligenza, volontà, corporeità, emozioni,
relazioni umane”. (Udienza generale, 17 ottobre 2012)
Il fatto è che oggi
sentimento, cuore, intelligenza, volontà, corporeità ed emozioni sono diversamente
intesi da quella società che vive come se Dio non esistesse. Sono doti molto spesso
orientate alla vetta di Babele e questo spinge il corpo cristiano, pastori in testa,
a testimoniare sempre e di nuovo quale sia la giusta strada che porta al cielo, rispetto
all’altra inutile e distruttiva scorciatoia:
“La Chiesa nel suo insieme,
ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini
fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio,
verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza (...) Non è il potere che redime,
ma l’amore (...) Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che
Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore (...) Noi
soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza.
Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso
e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza
degli uomini”. (Messa di inizio del Ministero petrino, 24 aprile 2005)