Giornata della donna: la testimonianza di un'attivista egiziana
Ricorreva ieri la Giornata internazionale delle donne e l’attenzione mondiale è andata
alla violenza che molte di esse sono ancora costrette a subire. Il segretario generale
dell’Onu, Ban Ki-moon, l’ha definita “una minaccia globale” da “combattere ovunque
si possa annidare”. Tra i Paesi in cui il problema è molto sentito ci sono quelli
del Nordafrica, protagonisti delle cronache degli ultimi due anni. Ma le donne hanno
giocato un ruolo essenziale anche per il successo delle “primavere arabe”. Lo ha spiegato,
al microfono di Davide Maggiore, l’attivista egiziana Sally Toma:
R. - We made
it clear on 25th on January… Quel 25 gennaio, l’abbiamo detto chiaramente: non
eravamo là fuori come donne bisognose d’aiuto, che volevano ottenere qualcosa e che
cercavano protezione, ma per essere fianco a fianco con gli uomini, per dirigere e
guidare. Siamo state presenti nella piazza sin dall’inizio e continueremo ad esserci.
Ci sono molte donne attiviste che fanno parte di campagne e movimenti molto importanti.
Le donne egiziane hanno sempre lavorato, sono sempre state fuori casa, non come negli
altri Paesi arabi. Abbiamo i nostri diritti e questo è molto importante. Ma quello
che manca adesso è l’inclusione dei nostri diritti nella Costituzione, il riconoscimento
delle pari opportunità nel lavoro tra uomo e donna.
D. - Le donne sono anche
vittime di violenze a scopo intimidatorio. Pensa che la comunità internazionale e
le ong possano aiutare ad acquisire una maggiore consapevolezza su questo?
R.
- It is very important to raise awareness… È molto importante riuscire ad acquisire
consapevolezza, ma è necessario ricercarne le ragioni: perché questo accade? La metà
di coloro che protestano, la metà della piazza sono donne. Accade che si stanno organizzando
aggressioni nei riguardi delle donne da parte di teppisti affinché non vadano a protestare.
Succede invece che oggi le donne sono caparbie e scendono in piazza in solidarietà
tra di loro, a dire: “Io non ho paura! Scendere in piazza è un mio diritto!”. È molto
più importante mostrare solidarietà verso le donne piuttosto che far aumentare la
consapevolezza.
D. - Due anni fa, durante le manifestazioni, l’Egitto sembrava
essere unito contro il regime. Oggi sono sorte divisioni. In molti contesti, le donne
sono state costruttrici di pace: potrebbero giocare questo ruolo anche in Egitto?
R.
- Yes. We have been seeing that in movements… Sì. Abbiamo constatato che recentemente,
in diversi movimenti di opposizione, le donne si stanno sollevando: è ora di costruire
ponti e di portare le cose ad un livello diverso. Le donne sono capaci di fare questo.
Non dimentichiamo che le donne sono madri di ragazzi che sono morti, quindi devono
continuare la battaglia dei figli per riportarci tutti ad una sola cosa.
D.
- Anche la comunità copta, della quale lei fa parte, si è unita alla battaglia dell’intera
popolazione egiziana, mostrandosi come parte integrante del popolo egiziano...
R.
- Yes. We are full part of the Egyptian people… Sì: noi siamo parte integrante
della popolazione egiziana. Non ci siamo mai sentiti una minoranza. Dodici milioni
di copti non possono essere considerati una minoranza: dodici milioni di persone sono
tante e appartengono tutte a questo Paese. Per molto tempo, i copti non si sono sentiti
parte integrante dell’Egitto, perché c’erano discriminazioni, dal punto di vista della
legge e della vita quotidiana. Ma era molto chiaro, anche prima del 25 gennaio, che
i copti erano pronti a fare una rivoluzione per dire al mondo: "Ho il diritto di essere
ascoltato, non solo tra le mura di una Chiesa, ma anche al di fuori, come egiziano!
Ho diritti, ma devo anche fare il mio dovere come cittadino nei riguardi del Paese:
ci sono persone che muoiono al fianco dei musulmani. La battaglia è la stessa: è la
lotta per un Egitto libero, uno Stato civile”. Penso che quando il Paese sarà libero
anche i copti saranno liberi e si sentiranno uguali agli altri.