Sant'Egidio: convegno su Religione e democrazia nel mondo arabo e in Europa
“Religione e democrazia nel mondo arabo e in Europa”. E’ il titolo dell’incontro organizzato
a Roma dalla Comunità di Sant'Egidio, nel quale è stata proposta un’analisi molto
approfondita sulle "primavere arabe", delle istanze che hanno mosso i popoli e della
fase post-rivoluzione. Un momento di dialogo e confronto tra diversi esponenti religiosi
e dei partiti islamici di Nord Africa e Medio Oriente. Lo ha seguito per noi Salvatore
Sabatino:
IL MOMENTO DEL DIALOGO - La necessità del confronto, del
dialogo, per fare chiarezza e comprendere cosa sta accadendo nel bacino mediterraneo.
"Il mare della complessità", lo definisce Andrea Riccardi, fondatore di Sant'Egidio
e ministro per la Cooperazione Internazionale e l'Integrazione, che punta sulla necessità
di evitare qualsiasi tipo di “semplificazione” nell'interpretare un “mondo complesso
e fatto di diversità”, anche interna ai singoli Paesi. Come dire, "quello arabo non
è affatto un'entita - aggiunge Riccardi - ma piuttosto un mondo fatto di specificità".
Ed è da quelle specificità che bisogna partire per guardare al futuro con occhi diversi.
Gli stessi che ci indicano la consapevolezza che “non si torna più indietro”. Nell'altra
direzione, invece, c'è il pericolo che si alimenti lo scontro di civiltà e l'estraneità,
che a loro volta producono paura, incomprensione, diffidenza. Tutti effetti nefasti
che si infrangono contro quelle nuove regole del mondo globalizzato, fatto di barriere
cadute e interconnessioni planetarie. "Di qui la necessità di insistere su amicizia
e conoscenza - chiude Riccardi - parlando il linguaggio dello scambio e della discussione".
UN
PERCORSO DIFFICILE - Seduti allo stesso tavolo ci sono rappresentanti di Tunisia,
Egitto, Libano, ma anche di Siria e Iraq. Ognuno porta la propria storia, la propria
visione, i propri drammi, le proprie speranze per un futuro che spinga questi Paesi
a chiudere nei libri di storia un passato fatto di regimi, dittatori, mancanza di
libertà individuali. Il mondo è certamente cambiato, globalizzato e globalizzante,
e non può permettersi di viaggiare a doppia, tripla velocità. I cittadini del mondo
questo lo sanno ed è per questo che chiedono più democrazia, più rappresentatività,
un livello di vita migliore e certamente la possibilità di esprimere le proprie idee
in maniera libera. Tutto questo passa attraverso forti instabilità e strade non sempre
in discesa.
TUTTO E' INIZIATO IN TUNISIA - Il tempo della democrazia,
si sa, non è certo breve. E quello che stanno vivendo questi Paesi non è altro che
quel percorso verso la libertà. Lo sottolinea con forza il tunisino Abdelfattah Mourou,
tra i fondatori del partito Ennhadha, che parla delle "difficoltà delle rivoluzioni
che sradicano le radici di ciò che non va. E ciò che non va deriva da dieci secoli
di sottomissione, che hanno plasmato una mentalità" difficile da modificare. Eppure,
la Tunisia vuole cambiare: non è un caso che la "primavera araba" sia nata proprio
qui, così come qui sia nata la voglia di voltare pagina.
LA SIRIA NEL SANGUE
- Alcuni, però, quella voglia di voltare pagina la stanno pagando con il sangue.
E' il caso della Siria, scivolata da due anni in un baratro senza fine: la guerra
civile ha già provocato 70 mila morti e distruzione ovunque. Lo sa bene George Sabra,
presidente del "Syrian National Council", numero due della coalizione nazionale, che
dal convegno di Sant'Egidio lancia un appello carico di speranza. Lui che, cristiano,
è stato arrestato più volte dal regime con l'accusa di essere un militante di sinistra
e che oggi guarda al post-Assad con la consapevolezza che "tutte le minoranze saranno
tutelate". Perche la Siria sarà di tutti e tutti saranno liberi.
L'IRAQ
VUOLE LA PACE - Oggi, l'Iraq s'incammina verso una difficile normalizzazione,
scossa quasi quotidianamente da forze oscure, che vorrebbero trascinare il Paese del
Golfo verso il passato. "Oggi gustiamo la democrazia dopo il sapore amaro della dittatura
- afferma Khadled Al Mullah, dell'Associazione degli Ulema iracheni - che riemerge
attraverso criminali vestiti con l'abito dell'Islam". Ma gli iracheni vogliono tutt'altro,
"vogliono la vita, la pace e relazioni positive con tutti i Paesi della Terra, dopo
decenni di isolamento totale". Anche questa è la forza della democrazia.
IL
RUOLO DELL'EUROPA - La sponda nord del Mediterraneo guarda con interesse ai Paesi
"vicini". Due mondi che arrivano a sfiorarsi e che attraverso il "Mare nostrum" entrano
in contatto diretto, nonostante si senta il bisogno di una maggiore unità di intenti.
Ne è convinto il premier italiano Monti, quando dice che l'Europa “deve incoraggiare
e accompagnare la vocazione riformista delle primavere arabe” e “farsi garante delle
minoranze con più forza e incisività”. Anche lui ribadisce che "nulla sarà come prima":
il vecchio continente deve tenerne conto. Poi un riferimento alle "minoranza cristiane”
un “universo che ha subito parecchi scossoni” come in Iraq, dove i cristiani “sono
dimezzati da 800mila a 400mila” e dove i rischi sono simili oggi in Siria. Altra sfida
per l’Europa, ha proseguito, è “l’accompagnamento economico dei cambiamenti in corso”:
“Se non aiutiamo lo sviluppo si rischia la nascita di un nuovo nazionalismo populista
arabo, magari legittimato dall’islam. Dobbiamo avere fiducia e aprire i nostri mercati
a sud.
Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio
e ministro per la Cooperazione Internazionale e l'Integrazione, ha aperto i lavori
sottolineando che non è possibile fare qualsiasi tipo di “semplificazione” nell'interpretare
un “mondo complesso e fatto di diversità”. Salvatore Sabatino lo ha intervistato:
R. - La semplificazione
è un grande limite nelle rappresentazioni dei mondi. Abbiamo avuto la grande semplificazione
dello scontro di civiltà: oggi la grande realtà è, invece, la complessità. La complessità
che noi dobbiamo rappresentare nel modo più opportuno, io credo, e il Mediterraneo
è il mare della complessità, della coabitazione di religioni e di etnie differenti.
D. - Il mare, come diceva lei, della complessità su cui si affacciano Paesi
molto diversi, molto complessi, anche al loro interno: forse, è il caso di non vedere
il mondo arabo come un tutt’uno, ognuno ha la propria identità…
R. - Perfetto.
Il mondo arabo è fatto di storie differenti: c’è qualcosa che unisce, ma ci sono molte
cose che dividono. Sono storie diverse: la Tunisia è una cosa, l’Egitto è un’altra.
Io credo che questi soggetti diversi, nazionali, richiedano una attenzione. Richiedono
un atteggiamento di dialogo, ma anche di fermezza nella difesa dei diritti umani,
dei diritti delle minoranze. Penso alle minoranze cristiane, penso alle donne… Io
credo, che nonostante tutte le enormi difficoltà, oggi la democrazia sia più vicina
di dieci anni fa.
D. - Nonostante tutti questi Paesi siano in cammino…
R.
- Sono in cammino: non si raggiunge mai la democrazia perfetta, ma credo che la democrazia
perfetta sia ancora molto lontana. Però “in cammino” è già un fatto positivo. Noi
dobbiamo essere presenti, culturalmente, politicamente, come Chiesa e come Paese.
D. - Non crede che la sponda nord del Mediterraneo si sia tenuta un po’ indietro
rispetto a quello che è successo nei Paesi arabi?
R. - Forse sì, ma abbiamo
avuto la nostra crisi, la nostra introversione, la nostra crisi economica.
D.
- C’è anche una crisi di pensiero, che porta a vedere nell’altro solo le differenze?
R.
- Secondo me, c’è una crisi di visione in Europa, una crisi di visione della nostra
missione.