Benedetto XVI: la concordia dei discepoli è condizione perché venga lo Spirito Santo
Il collegio cardinalizio che si riunisce in preghiera per invocare lo Spirito Santo:
è questa una delle immagini della prima Congregazione generale tra le più emblematiche
della fase di transizione che sta vivendo la Chiesa, in vista dell’elezione del nuovo
Pontefice. In questi otto anni, Benedetto XVI è tornato più volte a riflettere e sottolineare
l’importanza dell’invocazione dello Spirito. Lo ricorda in questo servizio Alessandro
De Carolis:
“La concordia
dei discepoli è la condizione perché venga lo Spirito Santo; e presupposto della concordia
è la preghiera”. Sono parole che sembrano un messaggio di Benedetto XVI alla Chiesa
che vive questi giorni così particolari. Invece, sono tratte dalla sua omelia di Pentecoste
del 2009. L’immagine dei cardinali in preghiera in Vaticano restituisce quella degli
Apostoli nel Cenacolo, dove il protagonista che sta per aprire la nuova stagione della
Chiesa è lo Spirito, con il suo vento e il suo fuoco. Due elementi di forza dai quali,
ha osservato Benedetto XVI, il cristiano non può prescindere come i polmoni non possono
fare a meno dell’ossigeno:
“Quello che l’aria è per la vita biologica, lo
è lo Spirito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico,
che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore
e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale”. (Omelia
di Pentecoste, 31 maggio 2009)
Il veleno, spiega Benedetto XVI, sta in
quella sempre più accentuata autonomia, anche da Dio, che tanta parte di umanità ha
deciso da tempo di rivendicare. Se non che, ha più volte ricordato, la stessa umanità
ha pagato un prezzo altissimo quando da coloro nei quali l’anima aveva smesso di funzionare
fuoco e il vento sono, sì, scaturiti ma con altri esiti:
“Com’è diverso
questo fuoco da quello delle guerre e delle bombe! Com’è diverso l’incendio di Cristo,
propagato dalla Chiesa, rispetto a quelli accesi dai dittatori di ogni epoca, anche
del secolo scorso, che lasciano dietro di sé terra bruciata. Il fuoco di Dio, il fuoco
dello Spirito Santo, è quello del roveto che divampa senza bruciare. E’ una fiamma
che arde, ma non distrugge; che, anzi, divampando fa emergere la parte migliore e
più vera dell’uomo, come in una fusione fa emergere la sua forma interiore, la sua
vocazione alla verità e all’amore”. (Omelia di Pentecoste, 23 maggio 2010)
È
la fiamma con cui Cristo ha dato forma alla Chiesa e con la quale gli Apostoli hanno
poi incendiato il mondo:
“Fin dal primo istante, infatti, lo Spirito Santo
l’ha creata come la Chiesa di tutti i popoli; essa abbraccia il mondo intero, supera
tutte le frontiere di razza, classe, nazione; abbatte tutte le barriere e unisce gli
uomini nella professione del Dio uno e trino. Fin dall’inizio la Chiesa è una, cattolica
e apostolica: questa è la sua vera natura e come tale deve essere riconosciuta. Essa
è santa, non grazie alla capacità dei suoi membri, ma perché Dio stesso, con il suo
Spirito, la crea, la purifica e la santifica sempre”. (Omelia di Pentecoste,
12 maggio 2011)
Mentre all’orizzonte si profila il Conclave e nella Basilica
di S. Pietro, a pochi metri dal “cenacolo” dei cardinali, si invoca senza interruzione
lo spirito Santo, è bello riascoltare la preghiera che Benedetto XVI innalzò tre anni
fa al “Dio sconosciuto”:
“Vieni, Spirito Santo! Accendi in noi il fuoco
del tuo amore! Sappiamo che questa è una preghiera audace, con la quale chiediamo
di essere toccati dalla fiamma di Dio; ma sappiamo soprattutto che questa fiamma –
e solo essa – ha il potere di salvarci. Non vogliamo, per difendere la nostra vita,
perdere quella eterna che Dio ci vuole donare. Abbiamo bisogno del fuoco dello Spirito
Santo, perché solo l’Amore redime. Amen”. (Omelia di Pentecoste, 23 maggio
2010)