È di almeno 40 morti, tra cui tre agenti, e oltre 800 feriti il bilancio del secondo
giorno consecutivo di scontri, in Bangladesh, tra la polizia e i sostenitori del partito
islamico Jamaat-e-Islami. Ad innescare le violenze la sentenza, nel tardo pomeriggio
di ieri, di condanna a morte per il leader della formazione, Delwar Hossain Sayeedi,
accusato di crimini di guerra durante il conflitto del 1971. Il verdetto, riferisce
AsiaNews, ha scatenato l’ennesimo sciopero nazionale, cui sono seguite violenze e
disordini in diverse città del Paese, con case e templi indù dati alle fiamme ed esplosioni
di diversi ordigni. Oggi, in occasione della preghiera del venerdì islamico, la polizia
ha rafforzato i controlli, mentre la Islamic Foundation, che fa capo al ministero
per gli Affari religiosi, ha invitato tutti alla calma. La tensione in Bangladesh
tra la maggioranza indù e la comunità musulmana è tornata ad alzarsi il 5 febbraio
scorso, quando attivisti e blogger hanno iniziato a chiedere al governo la pena di
morte per gli accusati di crimini di guerra che ha portato, il 18 febbraio, all’approvazione
in Parlamento di una modifica al codice che ora consente la pena capitale. Sayeedi,
dunque, è stato condannato per 19 capi d’imputazione tra cui omicidio di civili innocenti,
collaborazione con l’esercito pakistano in uccisioni e torture di persone disarmate,
incendi dolosi e stupri. E’ accusato anche di aver costretto fedeli indù a convertirsi
all’Islam e ad aver eseguito confische di beni e proprietà della comunità indù. (R.B.)