Due anni fa l'omicidio di Shahbaz Bhatti. Il fratello: incoraggiato a proseguire nella
sua missione
Momenti di preghiera in Pakistan e nel mondo per ricordare Shahbaz Bhatti, il ministro
cattolico per le Minoranze, ucciso due anni fa a Islamabad. Impegnato fin da giovane
per la difesa non solo dei cristiani ma di tutte le minoranze religiose presenti nel
Paese, Bhatti venne ritenuto “colpevole” negli ambienti dell’estremismo islamico di
volere la revisione della Legge sulla blasfemia, quella norma che ha colpito moltissime
persone e tiene in carcere ormai da 1353 giorni Asia Bibi, la donna cristiana madre
di 5 figli. Ricordiamo la figura di Bhatti con il servizio di Debora Donnini:
“Voglio solo
un posto ai piedi di Gesù…Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire”. Le parole
scritte da Shahbaz Bhatti nel testamento spirituale hanno scandito la sua vita fin
da giovane. Da ragazzo si impegna per i pochi studenti cristiani che riescono ad arrivare
all’università e vengono colpiti anche da aggressioni fisiche. Fonda un’associazione
per la difesa delle minoranze, aiuta i terremotati del 2005, ottiene che in una prigione
sia creata una cappella, va a trovare Asia Bibi, si batte per la revisione della Legge
sulla blasfemia, in nome della quale in Pakistan centinaia di persone vengono accusate
di aver offeso in qualche modo il Corano o Maometto ma che spesso viene usata in modo
pretestuoso per dirimere questioni personali. Il 2 marzo del 2011, trenta colpi di
arma da fuoco lo uccidono. Shahbaz sapeva di essere nel mirino dei fondamentalisti
ma questo non lo ha mai fermato. Nel suo testamento spirituale scrive: “finche avrò
vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente
umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri”. Sentiamo il padre domenicano Maris
Javed, che questo pomeriggio presiede a Roma una Messa per ricordare Shahbaz Bhatti:
“Questo
è l’Anno della fede. Lui aveva una forte fede in Gesù Cristo. Noi dobbiamo avere una
fede forte come i martiri della Chiesa, come i santi che hanno dato la loro vita per
la fede. Io vedo la stessa cosa nella vita di Shahbaz Bhatti”.
Paul
Bhatti, dopo l’uccisione di suo fratello Shahbaz, è tornato in Pakistan per proseguire
la sua opera. Oggi è ministro per l’Armonia e consigliere del primo ministro per le
Minoranze religiose. Gli abbiamo chiesto quali i suoi sentimenti in questo momento:
R.
– Profonda tristezza perché abbiamo perso in maniera tragica questo nostro fratello
che lottava per la giustizia, per la pace e per la difesa delle minoranze in Pakistan.
D’altra parte, vedo che la gente lo ricorda con grande affetto, perciò sono anche
incoraggiato e onorato di tutto questo amore che il mondo ha dimostrato. La gente
- specialmente i cristiani - è determinata a continuare la sua missione in Pakistan.
E’ un grande incoraggiamento per me il fatto che tutta questa gente vorrebbe che la
sua missione continuasse e che siano disposti a fare qualsiasi sacrificio purché la
sua missione continui, perché rimanga viva la voce di Shahbaz Bhatti.
D. –
L’omicidio di suo fratello si pensa sia avvenuto per mano di fondamentalisti islamici…
R.
– Al momento del suo assassinio, sono stati distribuiti volantini in cui c’erano estremisti,
che appartenevano ai talebani, che avevano accettato la responsabilità… Loro avevano
dichiarato che lui voleva eliminare la Legge sulla blasfemia in Pakistan e che chiunque
avesse parlato contro la blasfemia avrebbe fatto questa fine. Perciò noi crediamo
che, per quanto riguarda il suo assassinio, è stato fatto da questi estremisti. La
cosa più importante però è questa: stiamo lottando contro un determinato tipo di mentalità
che ha ucciso Benazir Bhutto, Salmaan Taseer, che ha ucciso altre persone che operavano
per la pace.
D. – Suo fratello si era battuto molto per la revisione della
Legge sulla blasfemia. Come sta andando la situazione?
R. - Per quanto riguarda
la Legge sulla blasfemia noi abbiamo fatto parecchi passi in avanti. Nel senso che
io da tempo incontro i leader religiosi di tutti i gruppi religiosi in Pakistan. Ci
siamo incontrati anche la settimana scorsa col primo ministro e poi infine anche col
presidente per un grande dibattito, in una tavola rotonda, e abbiamo discusso tutti
gli aspetti negativi di questa legge. Siamo arrivati a conclusioni molto incoraggianti.
Una delle conclusioni è che qualunque persona accusata di blasfemia dovrebbe essere
giudicata da una commissione che abbiamo formato noi. A questo incontro, che abbiamo
avuto la settimana scorsa, erano presenti i leader religiosi di musulmani, cristiani,
indù, sikh e di altre minoranze. Prima che qualcuno venga accusato e perseguito per
legge, questa commissione dovrebbe dare la sua opinione. In questo modo tantissimi
casi mistificati potrebbero essere eliminati e, in più, se qualcuno ha accusato falsamente
dovrebbe avere la stessa punizione stabilita per l’accusato.
D. - Sarà una
commissione formata da esponenti religiosi delle varie religioni?
R. – Esatto
e ogni gruppo religioso nominerà una persona che lo rappresenterà.
D. - Quindi
non è ancora legge ma molto probabilmente lo diventerà?
R. – Esatto. Noi siamo
in una fase abbastanza positiva. C’è speranza perché vediamo spazi di dialogo interreligioso
tra i musulmani e i cristiani. Ci si sta rendendo conto che in questo Paese dobbiamo
avere una convivenza pacifica. Bisognerebbe arrivare a una strategia comune.