Il Papa e la preghiera, "arte" che apre a Dio il cuore dell'uomo
Domani, dunque, Benedetto XVI porrà fine al suo Pontificato per ritirarsi a una vita
di preghiera. E proprio alla preghiera, il Papa ha dedicato tra il 2011 e il 2012
una vera e propria “scuola”, in particolare sviluppando una serie di catechesi alle
udienze generali del mercoledì. Alessandro De Carolis ricorda alcune riflessioni
del Pontefice sull’argomento:
Un atto sempre
meno praticato, in misura direttamente proporzionale con l’eclissi del senso di Dio
e la perdita di senso del sacro. Pregare è diventato un fatto raro, anche tra i cristiani.
E praticare l’indifferenza aumenta la lontananza, perché – ha spiegato una volta Benedetto
XVI – l’ardore della preghiera non è un fuoco che si può far ardere a comando e al
bisogno, quanto piuttosto è una fiamma che brucia, cresce e scalda solo se alimentata
con costanza. E da questa “regola” non sfugge nessuno:
“Sappiamo bene, infatti,
che la preghiera non va data per scontata: occorre imparare a pregare, quasi acquisendo
sempre di nuovo quest’arte; anche coloro che sono molto avanzati nella vita spirituale
sentono sempre il bisogno di mettersi alla scuola di Gesù per apprendere a pregare
con autenticità”. (Udienza generale 4 maggio 2011)
In settimane
e mesi di riflessione, spaziando dai Salmi ai pensatori cristiani, il Papa ha fornito
una serie di risposte di base alle domande consapevoli di chi cerca un contatto con
Dio, e pure a quelle inconsapevoli di chi non pensa a Dio ma prima o poi percepirà
che non tutti i bisogni del suo cuore, e anche del corpo, possono ricevere soddisfazione
dal mondo del tangibile. Dalla sua creazione, esiste nell’uomo una insopprimibile
voce che cerca risposte oltre il confine del sensibile. È quella che Benedetto XVI
chiama “nostalgia di eternità”:
“L’uomo di tutti i tempi prega perché non
può fare a meno di chiedersi quale sia il senso della sua esistenza, che rimane oscuro
e sconfortante, se non viene messo in rapporto con il mistero di Dio e del suo disegno
sul mondo. La vita umana è un intreccio di bene e male, di sofferenza immeritata e
di gioia e bellezza, che spontaneamente e irresistibilmente ci spinge a chiedere a
Dio quella luce e quella forza interiori che ci soccorrano sulla terra e dischiudano
una speranza che vada oltre i confini della morte”. (Udienza generale 4 maggio
2011)
E tutto questo vale anche per l’uomo contemporaneo, molto spesso
tentato – ha affermato in una occasione il Papa – di “eludere il mistero divino costruendo
un dio comprensibile, corrispondente ai propri schemi, ai propri progetti”? La risposta
è sì:
“L’uomo ‘digitale’ come quello delle caverne, cerca nell’esperienza
religiosa le vie per superare la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura
terrena. Del resto, la vita senza un orizzonte trascendente non avrebbe un senso compiuto
e la felicità, alla quale tutti tendiamo, è proiettata spontaneamente verso il futuro,
in un domani ancora da compiersi”. (Udienza generale 11 maggio 2011)
Stabilito
che l’orizzonte interiore di un essere umano non è dato dalla somma dei suoi sensi
– e la sua felicità dalla quantità dei bisogni appagati – ma da quel “desiderio di
amore, un bisogno di luce e di verità che lo spingono verso l’Assoluto”, Benedetto
XVI compie un passo ulteriore rispondendo alla domanda: “Qual è lo scopo primario
della preghiera?”:
“Lo scopo primario della preghiera è la conversione:
il fuoco di Dio che trasforma il nostro cuore e ci fa capaci di vedere Dio e così
di vivere secondo Dio e di vivere per l’altro”(…) “All’assoluto di Dio, il credente
deve rispondere con un amore assoluto, totale, che impegni tutta la sua vita, le sue
forze, il suo cuore”. (Udienza generale 15 giugno 2011)
Questa,
in estrema e incompleta sintesi, è la preghiera per Benedetto XVI. L’uomo che tra
48 ore si eclisserà dal mondo per essere solo un cuore orante per la Chiesa, giunta
a un nuovo capoverso della sua lunghissima storia. Solo un ultimo insegnamento arriva
da Joseph Ratzinger Benedetto XVI, quasi impercettibile nella sua semplicità, ma in
perfetta linea con la sua anima e il suo stile e in perfetta antitesi col bisogno
di protagonismo spesso arrogante che si nota oggi attorno. Quando pregate, ricorda
a tutti, fatelo come il pubblicano in fondo alla chiesa, a capo chino. Riscoprite,
dice, la bellezza di mettervi in ginocchio:
“E’ un gesto che porta in sé
una radicale ambivalenza: infatti, posso essere costretto a mettermi in ginocchio
– condizione di indigenza e di schiavitù – ma posso anche inginocchiarmi spontaneamente,
dichiarando il mio limite e, dunque, il mio avere bisogno di un Altro”. (Udienza
generale 11 maggio 2011)