Centrafrica, appello dei vescovi: serve aiuto per salvare il Paese dall'"asfissia"
È difficile la situazione del Centrafrica, nonostante gli accordi di pace tra il governo
e i ribelli della coalizione Seleka, firmati l’11 gennaio scorso. Le organizzazioni
internazionali parlano di gravi rischi umanitari e un appello a salvare il Paese dall’"asfissia"
è arrivato, nei giorni scorsi, anche dalla Conferenza episcopale locale. Quanto è
lontano il Paese da una vera pace? Davide Maggiore lo ha chiesto al sacerdote
centrafricano, don Mathieu Fabrice Evrard Bondobo:
R. – Bisogna
essere realistici, perché c’è la speranza di arrivare a una vera pace. Ma c’è anche
molto da fare: bisogna coltivare la pace e lavorare per far sì che questa vera pace
possa realizzarsi. Il governo di unione nazionale è stato formato recentemente e questo
è già un passo molto importante. Adesso il governo, il presidente della Repubblica
e tutti gli attori politici coinvolti stanno lavorando. Bisogna però lavorare anche
sul tempo, ovviamente.
D. – A preoccupare, però, è anche la situazione umanitaria:
le strade sono ancora chiuse e gli aiuti non possono raggiungere chi ne ha bisogno.
Quali conseguenze può avere questo sulle popolazioni?
R. – I vescovi, nel loro
messaggio, hanno presentato la realtà attuale, soprattutto nelle zone occupate dalla
coalizione Seleka. In queste zone occupate, c’è la paura della popolazione, ci sono
i campi agricoli abbandonati, persone malate senza cure perché gli ospedali sono chiusi
o distrutti, le scuole sono chiuse e lo stato di diritto non esiste quasi più... E’
una situazione allarmante, con conseguenze veramente terribili sulla popolazione.
Bisogna che tutti lavorino per uscire da questa situazione e vivere nella pace, ricominciando
a lavorare ciascuno nella propria occupazione. E’ necessario riprendere una vita sociale
normale.
D. – Abbiamo accennato al fatto che il conflitto ha anche impedito
il lavoro nei campi: la fame è un rischio?
R. – E’ un rischio veramente alto.
Secondo alcuni analisi condotte dal Programma alimentare mondiale, i prezzi dei viveri
sono aumentati veramente molto in queste zone occupate dai ribelli. Non c’è una libera
circolazione delle persone perché alcune zone sono ancora chiuse e quindi non ci sono
viveri. La popolazione soffre, perché già la situazione economica del Paese è difficile:
chi ha già pochi soldi in tasca, fa fatica a comprare viveri. Quindi, il rischio fame
è molto alto in queste zone.
D. – I vescovi, nel loro messaggio, si rivolgono
anche alle persone di buona volontà: noi, in Europa, possiamo fare qualcosa? C’è un
appello che vuole lanciare?
R. – Il mio appello è quello di riprendere il messaggio
dei vescovi, soprattutto il secondo momento, quando i vescovi chiedono di agire e
di fare qualcosa: non possiamo rimanere a guardare la situazione nella quale la popolazione
sta vivendo. I vescovi chiedono di liberare rapidamente questo popolo, compiendo opere
concrete, come la libera circolazione nelle zone occupate, l’apertura di un corridoio
umanitario. In queste zone, le linee telefoniche sono chiuse e il popolo non può comunicare:
questa è una cosa gravissima. Necessaria anche l’apertura di una inchiesta internazionale
per chi ha violato i diritti umani. Quindi, il mio appello è questo: che l’Europa
ci possa aiutare ad affrontare questa situazione così terribile e così drammatica,
in modo da poter arrivare ad una pace vera.