Esercizi spirituali. Il cardinale Ravasi: indifferenza e superficialità, veri mali
della cultura odierna
Riconciliazione e penitenza, l’assenza di Dio e il nulla. Su questi temi si è sviluppata
la meditazione di ieri del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio
Consiglio della Cultura, incaricato di predicare gli Esercizi spirituali per la Quaresima
al Papa e alla Curia Romana. Ce ne parla Benedetta Capelli:
Dopo aver visto
il limite che portiamo a Dio, il dolore nella forma fisica e morale, il cardinale
Ravasi propone la meditazione sul delitto, il castigo e il perdono. “Il peccato
– evidenzia il porporato – è un atto personale e nasce dalla libertà umana”. E’ ribellione,
rivolta, un deviare la meta ma soprattutto un allontanarsi da Dio:
“Il peccato
è una realtà, prima di tutto, e soprattutto, teologica; può avere anche risvolti psicologici,
ma è teologica. Per cui, non potrà mai essere equiparato - il Sacramento della Riconciliazione
- ad una seduta psicanalitica, perché è assolutamente fondamentale la consapevolezza
di Dio che il peccatore ha”.
E’ nella conversione che si trova la via giusta,
nel cambiare la rotta e dunque nel cambiare mentalità – come predicava Gesù - lasciando
alle spalle le cose alle quali siamo aggrappati. Un percorso che inevitabilmente implica
la fatica. E qui il cardinale Ravasi rilegge la seconda Lettera ai Corinzi di San
Paolo, evidenziando un punto sottinteso, un termine giuridico che esprime il legame
tra l’uomo e Dio:
“Catallasso, catallaghè: questo verbo, tecnicamente parlando,
è il verbo che indica l’atto del giudice che tenta di far riconciliare due sposi in
disaccordo tra loro. È quel gesto che ormai è diventato famoso - c’è anche nella nostra
giurisprudenza ed in molti Paesi - nei casi di separazione e di divorzio: il giudice,
di solito, in maniera puramente formale, dice se si vuole giungere ancora ad un accordo.
Paolo usa questo verbo, quasi della riconciliazione giuridica; per cui è un verbo
che però ha alle spalle la dimensione nuziale - appunto, quel legame che noi avevamo
con Dio - legame nuziale che si è infranto con il peccato”.
Nel percorso
faticoso verso il perdono non manca la tensione, l’attesa, il “fremito profondo”,
dice il cardinale Ravasi, per giungere ad essere uomini nuovi:
“Nella società
non sempre si dà la possibilità di ricominciare: alcuni sono ormai bollati, anche
se è vero che nella legislazione ci sono tentativi di ricomporre e riproporre ancora
alla società uno che ha sbagliato. Però, rimane sempre questa sorta di timbro sulla
persona che è stata - magari a ragione - giudicata peccatrice. Questo invece nella
Bibbia non esiste; nel Profeta Isaia, soprattutto, c’è quell’immagine che Dio getta
alle spalle i tuoi peccati, in modo che non li guarda più, quindi non ci sono più.
È la cancellazione vera”.
L’assenza e il nulla: l’uomo senza Dio è la seconda
meditazione del cardinale Ravasi. Un tema – sottolinea il porporato - che nel Salterio
è presente in modo ripetuto nel Salmo 14 e nel Salmo 53. Si entra così nel mondo dell’ateismo
pratico. Assenza e nulla: due termini che non sono sinonimi; semplicisticamente la
prima è nostalgia di Dio mentre il nulla è il vero male della cultura odierna:
“E’
l’indifferenza, è la superficialità è la banalità. E’ per questo che io continuo a
pensare come si può incidere in qualche modo in questa sorta di nebbia, in questa
sorta di mucillagine; è una cosa molle che però non ha nessuna nostalgia, è proprio
il vuoto, il nulla, non il vuoto con l’attesa. Ecco, noi, pastoralmente, incontriamo
più spesso purtroppo questa seconda forma di ateismo”.
Poi, sul silenzio
di Dio, il porporato ricorda le tante volte che un credente avverte questo orizzonte:
“Pensiamo
anche a noi stessi, tutte le volte che abbiamo provato, magari attraverso la tiepidezza,
attraverso lo scoraggiamento, il silenzio di Dio, l’assenza. Per noi non era del tutto
scomparso dall’orizzonte però non Lo sentivamo più. Vorrei che noi tutti, che siamo
vescovi, la maggior parte di noi, pensassimo un po’ al clero, a molti preti che vivono
questa esperienza e magari non hanno quella capacità di elaborazione che dovrebbero
avere, che noi dovemmo dare loro. Credo che soprattutto quanti tra di voi sono stati
vescovi di Chiese, pastori di Chiese, questa testimonianza la potete dare voi”.
Eppure
il salmista, dopo aver provato il silenzio di Dio, riesce - in conclusione del Salmo
22 - ad esclamare: “Tu mi hai risposto!”. Così la preghiera diventa un inno di ringraziamento
che è segno di fiducia dopo le ore vuote, perché le nostre suppliche non cadono mai
nel nulla. Infine, al termine della sua meditazione, il cardinale Ravasi offre un
nuovo spunto di riflessione riportando le ultime parole del drammaturgo dell’assurdo
Eugene Ionesco, un ateo che prima di morire scrisse queste frasi:
“Pregare.
Non so chi. Spero Gesù Cristo ”.
Dolore e isolamento sono, invece, i nuclei
attorno ai quali si è snodata la meditazione tenuta ieri pomeriggio. "La società contemporanea
– ha detto il porporato - ha creato nelle nostre città una folla di solitudini. Il
cardinale ha quindi trattato la visione cristiana del dolore, una visione che desta
scandalo: Dio in Cristo si china sull’uomo – ha detto - e ne assume la sofferenza,
il limite. Gesù attraversa tutta la gamma oscura del dolore: paura, solitudine, isolamento,
tradimento, sofferenza fisica, silenzio di Dio, morte.