Myanmar: la Chiesa chiede una pace duratura per i Kachin
Nel conflitto sanguinoso che vede contrapposti l'esercito birmano e le milizie etniche
Kachin, nell'omonimo Stato a nord del Myanmar, lungo il confine con la Cina, interviene
il vescovo di Myitkyina che lancia un appello alla pace e al federalismo. Se la fine
delle violenze è la premessa necessaria per intavolare le trattative, avverte il prelato
in una nota diffusa nei giorni scorsi, per una soluzione di lungo periodo è necessario
rilanciare un cammino riformista; e in una nazione composta da oltre cento gruppi
etnici, esso deve avere una chiave federalista, basato sull'accordo di Panglong promosso
da Aung San (padre di Suu Kyi) e rappresentanze di gruppi etnici nel 1947, ma che
non ha trovato effettiva applicazione. Tuttavia, i punti cardine dell'accordo restano
il punto iniziale per poter ricostruire l'unità nazionale dopo decenni di divisioni,
pur nel rispetto delle autonomie locali. Oggi a Chiang Mai, in Thailandia, sono in
programma nuovi incontri fra rappresentanti Kachin ed esponenti del governo, dopo
un primo round di colloqui il 4 febbraio scorso. Le trattative sono frutto della pressione
diplomatica della Cina e della comunità internazionale, mentre l'inviato speciale
Onu Tomas Quintana conferma la "perdurante pratica di arresti arbitrari e abusi" su
civili, sospettati di legami con le milizie ribelli. L'iniziativa di Pechino ha portato
a un cessate il fuoco temporaneo, ma non si può parlare di tregua stabile. Secondo
fonti cristiane, la ripresa delle ostilità nel giugno 2011 ha causato la devastazione
di almeno 66 luoghi di culto, oltre che numerose vittime civili. Mons. Francis Daw
Tang, della diocesi di Myitkyina, è intervenuto lo scorso 8 febbraio con un comunicato
che riprende l'appello per la fine delle violenze già lanciato il 17 gennaio dai vertici
della Chiesa - cattolica e protestante - birmana. Il 66enne prelato sottolinea le
terribili sofferenze causate "allo Stato Kachin e alla sua popolazione dai combattimenti
degli ultimi mesi". Il vescovo ricorda che la Chiesa non ha ruoli politici, ma opera
per la pace e chiede a tutti di "ritornare al tavolo dei negoziati, perché la pace
è possibile". Mons. Francis ricorda le sofferenze dei profughi e le sofferenze imposte
ai Kachin, un popolo a larga maggioranza cristiano che percepisce "l'invasione" dei
buddisti birmani come tentativo di dominazione (anche) linguistica e religiosa. Per
questo è necessario "tornare al consenso raggiungo a Panglong", per dare nuova linfa
al principio di "unità nella diversità". "Le preferenze mostrate per una determinata
razza, religione e lingua - conclude il prelato - hanno infettato una ferita al cuore
dell'identità culturale di molte comunità, che non potrà essere sanata se non con
la nascita di un vero federalismo". La Conferenza di Panglong, del febbraio 1947,
è uno storico incontro che ha avuto luogo nell'omonima cittadina dello Stato Shan,
tra rappresentanti del governo guidati da Aung San e leader delle minoranze etniche
Shan, Chin e Kachin; Karen e Karenni hanno preso parte solo in qualità di osservatori,
mentre Mon e Arakan erano considerati già parte integrante della Birmania. L'accordo
ha dato il via alla nascita di uno Stato indipendente - dal 4 gennaio 1948 - e ha
stabilito proprio nel 12 febbraio (giorno dell'accordo) la giornata di festa nazionale.
Tuttavia, nel corso degli anni sono divampate numerose insurrezioni di Arakan, Karen,
Mon, Kachin (tuttora in corso), Chin e Shan, che hanno ostacolato la realizzazione
di un Paese federale e rispettoso dele autonomie; anzi, il regime militare al potere
fino al 2011 ha sempre promosso la centralizzazione del potere. (R.P.)