Georgia: fermata un'esecuzione capitale. Per Amnesty è un precedente importante
La Corte suprema degli Stati Uniti ha salvato questa notte dalla pena capitale Warren
Hill 52 anni,che era già stato sedato in preparazione all’iniezione letale. La decisione,
è dovuta al riconosciuto ritardo mentale dell’uomo che, secondo una sentenza del 2002,
esclude la possibilità dell’esecuzione. Afroamericano, Warren, accusato di omicidio,
già nel 92 si era trovato nella stessa situazione.”E’ un caso importante” spiega Riccardo
Noury portavoce di Amnesty International, al microfono di Gabriella Ceraso:
R. - Questa
sentenza è importante e testimonia varie cose: da un lato l’estrema crudeltà della
pena di morte perché Warren Hill per la seconda volta nel giro di pochi mesi si trova
ad un punto dalla morte e viene salvato da un giudice che però poteva anche avere
un parere opposto. Il secondo tema è che ogni vita salvata crea una serie di utili
precedenti.
D. - Nel caso specifico degli Sati Uniti non c’è una chiara tendenza
alla diminuzione delle esecuzioni?
R. - E’ difficile dirlo. L’anno scorso le
esecuzioni sono state tante quante nel 2011, quest’anno non sappiamo come andrà. Il
Texas si avvicina al macabro traguardo delle 500 esecuzioni da quando è stata ripristinata
nel ’76 la pena capitale e la Georgia presenta un profilo di applicazione discriminatoria
sul piano razziale. Certo, ci sono anche dei segnali che possono far pensare ad una
lieve diminuzione. Direi quindi che siamo di fronte ad un momento di luci ed ombre.
D. - In gran parte dei Paesi che fanno ricorso alla pena di morte, queste
informazioni restano segrete. Negli Stati Uniti invece la trasparenza che c'è può
giocare in senso positivo?
R. - Certo. Negli Stati Uniti la pena di morte è
un fenomeno rilevabile, è una violazione dei diritti umani che, proprio per la trasparenza,
consente alle organizzazioni per i diritti umani di mobilitarsi. È però un’eccezione,
e non parlo soltanto di Paesi totalitari, parlo di Paesi come il Giappone e come da
ultimo l’India, dove la pena di morte è tornata dopo otto anni di sospensione, con
due esecuzioni da novembre ad oggi. Questo fatto dell’India è brutto, perché quando
si interrompe una moratoria poi le esecuzioni avvengono a grappoli e l’India è un
paese molto influente su tanti altri.
D. - Nel dicembre scorso un successo,
un record nella storia della lotta alla pena di morte: l’Assemblea Generale dell’Onu
ha approvato la risoluzione per il blocco delle esecuzioni; è stato un giorno importante.
Quali sono ora gli obiettivi più prossimi, più concreti e più auspicabili?
R.
- Queste risoluzioni, da quando sono state adottate e votate con maggioranze sempre
crescenti, dicono che la pena di morte è un problema di diritti umani ed è un problema
di preoccupazione internazionale, creano un blocco di Paesi convintamente abolizionisti
e fanno sentire in profonda minoranza i Paesi mantenitori. Detto questo, però c’è
altro da fare: intanto proseguire nell’aumentare il numero dei Paesi abolizionisti
e farlo attraverso campagne che chiedano ed ottengano divieti non solo per la legge,
ma anche per la Costituzione. C’è anche da dire però - il rovescio della medaglia
- che non basta alzare la mano una volta l’anno al Palazzo di Vetro di New York, perché
addirittura quelli che alzano la mano a favore, o in caso più frequente quelli che
si astengono, poi - rifatte le valigie e tornati nei loro Paesi - le condanne a morte
le eseguono. Il caso più evidente è stato quello dell’Afghanistan e per l’India è
lo stesso. Questo vuol dire che, nelle relazioni internazionali, nelle relazioni bilaterali,
nelle campagne degli organismi per i diritti umani, occorre sempre tenere d’occhio
ciò che accade Paese per Paese, per salvare vite umane - come primo obiettivo - per
cambiare le leggi, per cambiare la mentalità delle persone. Vorrei aggiungere, che
quello accaduto in India è qualcosa di estremamente grave: il governo ha introdotto
la pena di morte per il reato di stupro, ma ha lasciato intatte tutte le leggi che
impediscono il pieno accesso alla giustizia per le donne, che ostacolano le indagini,
che garantiscono impunità a polizia e militari sospetti di violenza sessuale. Si pensa
che qualche corpo lasciato penzolare dopo l’impiccagione risolva il problema dello
stupro in India, ma le cronache di oggi ci dicono che purtroppo non è così.