2013-02-20 18:02:47

Georgia: fermata un'esecuzione capitale. Per Amnesty è un precedente importante


La Corte suprema degli Stati Uniti ha salvato questa notte dalla pena capitale Warren Hill 52 anni,che era già stato sedato in preparazione all’iniezione letale. La decisione, è dovuta al riconosciuto ritardo mentale dell’uomo che, secondo una sentenza del 2002, esclude la possibilità dell’esecuzione. Afroamericano, Warren, accusato di omicidio, già nel 92 si era trovato nella stessa situazione.”E’ un caso importante” spiega Riccardo Noury portavoce di Amnesty International, al microfono di Gabriella Ceraso:RealAudioMP3

R. - Questa sentenza è importante e testimonia varie cose: da un lato l’estrema crudeltà della pena di morte perché Warren Hill per la seconda volta nel giro di pochi mesi si trova ad un punto dalla morte e viene salvato da un giudice che però poteva anche avere un parere opposto. Il secondo tema è che ogni vita salvata crea una serie di utili precedenti.

D. - Nel caso specifico degli Sati Uniti non c’è una chiara tendenza alla diminuzione delle esecuzioni?

R. - E’ difficile dirlo. L’anno scorso le esecuzioni sono state tante quante nel 2011, quest’anno non sappiamo come andrà. Il Texas si avvicina al macabro traguardo delle 500 esecuzioni da quando è stata ripristinata nel ’76 la pena capitale e la Georgia presenta un profilo di applicazione discriminatoria sul piano razziale. Certo, ci sono anche dei segnali che possono far pensare ad una lieve diminuzione. Direi quindi che siamo di fronte ad un momento di luci ed ombre.

D. - In gran parte dei Paesi che fanno ricorso alla pena di morte, queste informazioni restano segrete. Negli Stati Uniti invece la trasparenza che c'è può giocare in senso positivo?

R. - Certo. Negli Stati Uniti la pena di morte è un fenomeno rilevabile, è una violazione dei diritti umani che, proprio per la trasparenza, consente alle organizzazioni per i diritti umani di mobilitarsi. È però un’eccezione, e non parlo soltanto di Paesi totalitari, parlo di Paesi come il Giappone e come da ultimo l’India, dove la pena di morte è tornata dopo otto anni di sospensione, con due esecuzioni da novembre ad oggi. Questo fatto dell’India è brutto, perché quando si interrompe una moratoria poi le esecuzioni avvengono a grappoli e l’India è un paese molto influente su tanti altri.

D. - Nel dicembre scorso un successo, un record nella storia della lotta alla pena di morte: l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato la risoluzione per il blocco delle esecuzioni; è stato un giorno importante. Quali sono ora gli obiettivi più prossimi, più concreti e più auspicabili?

R. - Queste risoluzioni, da quando sono state adottate e votate con maggioranze sempre crescenti, dicono che la pena di morte è un problema di diritti umani ed è un problema di preoccupazione internazionale, creano un blocco di Paesi convintamente abolizionisti e fanno sentire in profonda minoranza i Paesi mantenitori. Detto questo, però c’è altro da fare: intanto proseguire nell’aumentare il numero dei Paesi abolizionisti e farlo attraverso campagne che chiedano ed ottengano divieti non solo per la legge, ma anche per la Costituzione. C’è anche da dire però - il rovescio della medaglia - che non basta alzare la mano una volta l’anno al Palazzo di Vetro di New York, perché addirittura quelli che alzano la mano a favore, o in caso più frequente quelli che si astengono, poi - rifatte le valigie e tornati nei loro Paesi - le condanne a morte le eseguono. Il caso più evidente è stato quello dell’Afghanistan e per l’India è lo stesso. Questo vuol dire che, nelle relazioni internazionali, nelle relazioni bilaterali, nelle campagne degli organismi per i diritti umani, occorre sempre tenere d’occhio ciò che accade Paese per Paese, per salvare vite umane - come primo obiettivo - per cambiare le leggi, per cambiare la mentalità delle persone. Vorrei aggiungere, che quello accaduto in India è qualcosa di estremamente grave: il governo ha introdotto la pena di morte per il reato di stupro, ma ha lasciato intatte tutte le leggi che impediscono il pieno accesso alla giustizia per le donne, che ostacolano le indagini, che garantiscono impunità a polizia e militari sospetti di violenza sessuale. Si pensa che qualche corpo lasciato penzolare dopo l’impiccagione risolva il problema dello stupro in India, ma le cronache di oggi ci dicono che purtroppo non è così.







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