“La Chiesa dell’amore è anche la Chiesa della verità”. Fin dall’inizio del suo Pontificato,
Benedetto XVI ha messo l’accento sulla centralità della testimonianza della verità
evangelica. Una sfida che in realtà, potremmo dire, è nel "Dna" del cristiano Joseph
Ratzinger che, nel 1977, per il suo motto episcopale ha scelto la formula Cooperatores
Veritatis, “Collaboratori della Verità”, tratta da un passo della terza Lettera
di Giovanni. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Quanti venti
di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche,
quante mode del pensiero”. Noi però “abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio”, che
“ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità”. Quando
Joseph Ratzinger pronuncia queste parole, il 18 aprile del 2005, è ancora “solamente”
il decano del Collegio cardinalizio. Ma, con il vantaggio della storia, è facile scorgere
come in quella omelia sulla “dittatura del relativismo”, il futuro Pontefice abbia
indicato alla Chiesa una delle più urgenti sfide dei nostri tempi. E in fondo di sempre:
testimoniare la verità. Ma cosa è la verità, anzi chi è la verità per Benedetto XVI
e possiamo possederla?
“Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è
essa a possedere noi: Cristo che è la verità, ci ha presi per mano, e sulla via della
nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente.
L’essere sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri”.
(Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2012)
Dunque, la verità è una
Persona, Gesù Cristo. D’altro canto, osserva nella sua prima Enciclica Deus caritas
est, all’inizio del Cristianesimo “non c'è una decisione etica o una grande idea”,
bensì proprio “l'incontro” con questa Persona. Tanto più è autentico questo incontro,
avverte il Papa, tanto più siamo chiamati ad accettare sacrifici e persecuzioni:
“Chi
partecipa alla missione di Cristo deve inevitabilmente affrontare tribolazioni, contrasti
e sofferenze, perché si scontra con le resistenze e i poteri di questo mondo”. (Udienza
alle Pontificie Opere Missionarie, 21 maggio 2010)
La verità, non si stanca
tuttavia di affermare il Papa, non è disgiunta dalla carità. Al contempo, spiega nella
Caritas in veritate, “senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo.
L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente”. E', avverte, “il fatale
rischio dell'amore in una cultura senza verità”. Ecco allora che la fede, ben lungi
dall’essere un ostacolo, diventa la luce che illumina il cammino verso la verità:
“Di
fronte a tale atteggiamento che tende a sostituire la verità con il consenso, fragile
e facilmente manipolabile, la fede cristiana offre invece un contributo veritativo
anche nell’ambito etico-filosofico, non fornendo soluzioni precostituite a problemi
concreti come la ricerca e la sperimentazione biomedica, ma proponendo prospettive
morali affidabili all’interno delle quali la ragione umana può ricercare e trovare
valide soluzioni” (Udienza alla Congregazione per la Dottrina della Fede, 15 gennaio
2010).
Nell’ambito di questa ricerca della verità, si colloca il grande
impegno di Benedetto XVI per rafforzare il dialogo tra fede e ragione. Un binomio,
questo, che contraddistingue il suo Pontificato. Anche la ragione, ne è convinto il
Papa teologo, aiuta ad avvicinarsi a Dio:
“Il dialogo tra fede e ragione,
se condotto con sincerità e rigore, offre la possibilità di percepire, in modo più
efficace e convincente, la ragionevolezza della fede in Dio – non in un Dio qualsiasi
ma in quel Dio che si è rivelato in Gesù Cristo – e altresì mostrare che nello stesso
Gesù Cristo si trova il compimento di ogni autentica umana”. (Dialogo a Convegno
diocesi di Roma, 5 giugno 2006)