Una suora di clausura del "Mater Ecclesiae": Benedetto, Papa della preghiera
In questi giorni è stato reso noto che il Papa, al termine del suo ministero petrino
e dopo un periodo di soggiorno a Castel Gandolfo, risiederà nel monastero “Mater Ecclesiae”
in Vaticano. Proprio lì, fino ad ottobre scorso, si trovavano sette suore di clausura
Visitandine, in maggioranza spagnole. L’unica italiana tra di loro era suor Maria
Francesca. A lei Benedetta Capelli ha chiesto un ricordo di quel periodo
e di Benedetto XVI:
R. – E’ stata
un’esperienza unica, ed è un’esperienza di quelle per cui uno comincia a misurare
la vita da “prima” di questo e “dopo” questo. Quello che l’ha caratterizzata è stata
essenzialmente la presenza del Santo Padre, cioè questa vita data e offerta per lui
con una vicinanza, tra l’altro, fisica: la posizione del monastero è dentro i Giardini
Vaticani. Proprio questa vicinanza implicava dei contatti con il Santo Padre ed il
primo, il più importante in assoluto, è quello della preghiera. Noi eravamo lì essenzialmente
per lui, per la Chiesa, per i suoi collaboratori della Curia. Tutte le mattine, aprendo
le finestre della nostra casa, vedevamo il Palazzo Apostolico ed era un modo per mandare
la preghiera quasi “fisicamente” verso di lui. Personalmente, l’abbiamo incontrato
due volte: è venuto a celebrare la Messa al monastero il 14 dicembre 2010, perché
nel 2010 l’Ordine della Visitazione ha celebrato il IV centenario della fondazione;
poi l’abbiamo rivisto anche il 14 ottobre 2012, una settimana prima di lasciare il
Vaticano: in questo caso siamo andate noi a casa sua, al Palazzo Apostolico, e l’abbiamo
incontrato. Quello che colpisce sempre è la sua grandissima capacità di contatto,
diretto e profondo, con la persona che ha davanti. Si dice della sua dolcezza, della
sua vicinanza: tutte cose bellissime e verissime. Ma quello che a noi – e non parlo
solo per me, in questo caso – ha toccato di più, è stata proprio questa sua apertura
alla persona che ha davanti. E questo ha una radice profonda che è quella della preghiera,
per portare lo sguardo di Dio anche nell’incontro personale di un momento.
D.
– Suor Maria Francesca, lei che sentimenti ha provato quando ha saputo della rinuncia
al ministero petrino da parte di Benedetto XVI?
R. – In un primo momento, quasi
non ci volevo credere, perché mi sembrava impossibile. Però, è stata una questione
di una frazione di secondo. Il secondo sentimento, è stato proprio quello di vedere
in questo la santità e la grandezza di questo Papa che ha saputo portare avanti un
ministero, oggettivamente molto difficile e molto pesante, sempre con il sorriso,
sempre nella volontà di Dio, sempre cercando di capire quale fosse il disegno di Dio
su di lui. E quando ha capito - come lui stesso ha detto - che non poteva più farlo
con la stessa energia di cui c’era bisogno, semplicemente ha visto in questo la volontà
di Dio e si è ritirato. Quindi, direi che per me è stato una conferma, quasi un ulteriore
sobbalzo d’amore nei suoi confronti.
D. – In questi ultimi giorni, Benedetto
XVI ha ribadito più volte la necessità della preghiera, anche per affrontare questo
momento particolare per la Chiesa universale…
R. – E’ chiaro per me e soprattutto
per noi che abbiamo vissuto lì e che abbiamo potuto vivere la dimensione della preghiera,
cioè la dimensione fondante della nostra vocazione. E’ questo aprirsi… perché la preghiera,
in effetti, è un aprirsi al mistero di Dio che vuole comunicarsi all’uomo e un portare
tutta l’umanità a Dio. Il valore della preghiera è proprio questo, ed è per questo
che il ministero del Papa – lo diceva anche Giovanni Paolo II – è la preghiera. Benedetto
XVI scegliendo questo passaggio nella sua vita, scegliendo non di tornare – ad esempio
– in una istituzione accademica, ma di ritirarsi in un luogo che è nato come luogo
di preghiera, da a tutti questo messaggio, dice: la Chiesa, prima di tutto, ha bisogno
di aprirsi a Dio; la persona che prega e che lo fa per vocazione, come siamo noi,
come è lui, non fa altro che essere questo testimone e questo portare Dio all’uomo
e l’uomo a Dio. E’ per questo che il Santo, cioè la persona che è in relazione con
Dio, la persona che prega è una persona luminosa, come è luminoso lui, come lo è sempre
stato.
D. – Benedetto XVI ha dedicato molte catechesi proprio alla preghiera,
la definisce “un modo per aiutare chi ci è vicino ad entrare nel raggio luminoso della
presenza di Dio” …
R. – E’ esattamente così. Infatti, quando una persona vive
a contatto con il Signore, non è mai solo per se stesso. Il Signore prende possesso
di questa persona, e ne prende possesso – tra l’altro – in tutte le dimensioni: non
solo quella spirituale, ma anche nella dimensione umana. Ed è questo che fa sì che
la luce si irradia all’intorno. La persona che prega attrae, nella luce di Dio, e
trasmette la luce di Dio: diventa un punto luminoso.
D. – A nome delle sue
consorelle, vorrebbe lasciare un messaggio, dire qualcosa in questo particolare momento,
a Papa Benedetto XVI?
R. – Lo amiamo tanto. Lo abbiamo amato tanto e lo amiamo
tanto.