Stati Uniti ed Europa al lavoro per creare un'area di libero scambio
Stati Uniti ed Unione Europea accorciano le distanze, almeno dal punto di vista economico
e commerciale. I due continenti, infatti, proveranno a costruire una zona di libero
scambio. Numerosi ed ambiziosi gli obiettivi: eliminare i dazi e le barriere tariffarie,
armonizzare quanto possibile i regolamenti sui servizi finanziari, aprire reciprocamente
gli appalti pubblici, garantire protezione compatibile agli investimenti, trovare
standard comuni per l'industria. L’Ocse già parla di ''accordo del secolo'', che potrebbe
creare la più grande area di libero commercio del mondo. L'annuncio del via libera
politico al negoziato è arrivato dal presidente Barack Obama, durante il suo Discorso
sullo Stato dell'Unione, il primo dalla sua rielezione. “Un commercio libero ed equo
attraverso l'Atlantico - ha detto il capo della Casa Bianca – potrebbe sostenere milioni
di posti di lavoro negli Stati Uniti”. Una possibilità colta al volo dai vertici europei.
Poche ore dopo, infatti, Bruxelles e Washington hanno pubblicato la dichiarazione
congiunta di conferma firmata da Obama, Van Rompuy e Barroso. Un’unità di intenti
che potrebbe concretizzarsi a breve. Secondo il capo della Commissione Ue potrà cominciare
già “prima dell'estate”, ancora sotto la presidenza di turno irlandese. Per concluderla,
però, si prevedono almeno due anni. In caso positivo potrebbe far aumentare il pil
europeo dello 0,5% l'anno e quello americano dello 0.4%. Visto in termini numerici,
ci sarebbe un'iniezione di 86 miliardi di euro l'anno nell'economia Ue e di 65 miliardi
per quella Usa. Da non sottovalutare, poi, che America ed Europa rappresentano
insieme quasi la metà del Pil mondiale (47%) e la quota del commercio Ue-Usa è un
terzo degli scambi globali: un affare da 2 miliardi di euro al giorno. Non mancano
certo le criticità: dal settore aeronautico (con la controversia Boeing-Airbus) all’industria
della difesa fino al comparto agroalimentare. Tutto questo potrebbe rendere la trattativa
''difficile'', ammette Barroso, ma la crisi economica abbattutasi pesantemente sulle
due sponde dell’Atlantico potrebbe, di fatto, allentare le tensioni. “Ci sono elementi
per trovare soluzioni” dice Barroso, spiegando che “entrambi abbiamo bisogno di crescita
e tutto questo aiuta a stimolarla''. Al via libera per quella che potrebbe essere
una rivoluzione epocale si è arrivati dopo oltre un anno di contatti e lavori del
cosiddetto “Gruppo di alto livello”. Il problema per l'Europa sarà quello di non cedere
sulle legislazioni in cui è più severa degli Stati Uniti.
Ma oggi un accordo
del genere conviene maggiormente agli Stati Uniti o all’Europa? Salvatore Sabatino
ha girato la domanda all’economista Carlo Altomonte:
R. - In realtà
conviene a entrambi, perché il vero punto è quello di mettersi d’accordo sugli standard
normativi e di regolamentazione delle diverse industrie, più che sulle tariffe che
sono già molto basse. Se gli Stati Uniti e l’Europa trovano un modus operandi comune
sulla definizione di regole e standard ambientali e industriali di sicurezza, del
lavoro e etc, questi diventano standard globali. Questo darebbe, quindi, un vantaggio
pazzesco alle due aree rispetto al resto del mondo.
D. - Da non sottovalutare
che Usa ed Europa rappresentano insieme quasi la metà del Pil mondiale, siamo intorno
al 47 per cento. Se si avverasse questa ipotesi, cosa accadrebbe a livello mondiale?
Possiamo immaginare, ad esempio, che la Cina non ne sarebbe molto contenta…
R.
- Però la Cina sarebbe, in qualche modo, poi coinvolta nell’altro grande accordo che
gli Stati Uniti stanno provando a chiudere, che è la Transatlantic Partnership con
l’Asia: un’operazione rispetto alla quale evidentemente loro si porrebbero al centro
dei due grandi Oceani. Questo darebbe, in generale, una sistemazione - anche abbastanza
stabile - alle aree di influenza nel mondo. Per cui Europa e Stati Uniti, da un lato;
Stati Uniti e Cina, dall’altro; e poi il link finale Cina-Europa, anche se noi con
loro abbiamo già i principali scambi commerciale: in qualche modo chiuderebbero -
passando dalla strada regionale - un accordo globale sugli scambi. Quindi, secondo
me, in realtà la Cina non sarebbe contenta all’inizio, ma in prospettiva vedrebbe
qual è poi la strada da percorrere: quindi, probabilmente da questo punto di vista,
continuerebbe ad avere un atteggiamento positivo.
D. - Bisogna dire che non
mancano certo le criticità, dal settore aeronautiche all’industria della difesa, fino
al comparto agroalimentare. La crisi economica, che si è abbattuta pesantemente sulle
due sponde dell’Atlantico potrebbe, di fatto, allentare queste tensioni?
R.
- Sì, evidentemente potrebbe ed è probabilmente la ragione per la quale oggi si inizia
a guardare più ai guadagni di un accordo che non ai numerosi punti di contrasto: il
settore aeronautico ne è uno; il settore alimentare è un altro e quello dell’agricoltura
è un altro ancora - che questo accordo porterebbe con sé. Evidentemente si tratta
di un accordo difficile da chiudere, proprio perché ci sono tali e tanti interessi
in gioco che i punti di contrasto sono davvero numerosi. Però è anche vero che, proprio
perché noi stiamo ragionando in un mondo che, dal dopo crisi, guarderà sempre di più
ai Paesi emergenti, è fondamentale che i Paesi avanzati segnino la strada da questo
punto di vista, in tema proprio di integrazione economica e commerciale. E’ probabilmente
questa la ragione politica per la quale oggi si può parlare seriamente di una possibilità
di accordo: cinque anni fa questa cosa non sarebbe possibile, perché ci separavano
più differenze che punti in comune.
D. - Insomma questo potrebbe essere uno
straordinario precedente su cui edificare veramente una nuova economia mondiale?
R.
- Sì, secondo me è il primo passaggio di quella che io considero la nuova fase della
globalizzazione dopo la crisi. La crisi, da questo punto di vista, ci ha detto che
un vecchio modello di globalizzazione non è più possibile. Mi chiedono sempre quando
usciremo dal tunnel: io vi posso dire che la data non la so precisamente, ma so che
quando usciremo dal tunnel non troveremo più il mondo che abbiamo lasciato all’inizio
del tunnel. Questo è, forse, il primo segnale in questa direzione.