2013-02-14 07:54:39

Stati Uniti ed Europa al lavoro per creare un'area di libero scambio


Stati Uniti ed Unione Europea accorciano le distanze, almeno dal punto di vista economico e commerciale. I due continenti, infatti, proveranno a costruire una zona di libero scambio. Numerosi ed ambiziosi gli obiettivi: eliminare i dazi e le barriere tariffarie, armonizzare quanto possibile i regolamenti sui servizi finanziari, aprire reciprocamente gli appalti pubblici, garantire protezione compatibile agli investimenti, trovare standard comuni per l'industria. L’Ocse già parla di ''accordo del secolo'', che potrebbe creare la più grande area di libero commercio del mondo. L'annuncio del via libera politico al negoziato è arrivato dal presidente Barack Obama, durante il suo Discorso sullo Stato dell'Unione, il primo dalla sua rielezione. “Un commercio libero ed equo attraverso l'Atlantico - ha detto il capo della Casa Bianca – potrebbe sostenere milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti”. Una possibilità colta al volo dai vertici europei. Poche ore dopo, infatti, Bruxelles e Washington hanno pubblicato la dichiarazione congiunta di conferma firmata da Obama, Van Rompuy e Barroso. Un’unità di intenti che potrebbe concretizzarsi a breve. Secondo il capo della Commissione Ue potrà cominciare già “prima dell'estate”, ancora sotto la presidenza di turno irlandese. Per concluderla, però, si prevedono almeno due anni. In caso positivo potrebbe far aumentare il pil europeo dello 0,5% l'anno e quello americano dello 0.4%. Visto in termini numerici, ci sarebbe un'iniezione di 86 miliardi di euro l'anno nell'economia Ue e di 65 miliardi per
quella Usa. Da non sottovalutare, poi, che America ed Europa rappresentano insieme quasi la metà del Pil mondiale (47%) e la quota del commercio Ue-Usa è un terzo degli scambi globali: un affare da 2 miliardi di euro al giorno. Non mancano certo le criticità: dal settore aeronautico (con la controversia Boeing-Airbus) all’industria della difesa fino al comparto agroalimentare. Tutto questo potrebbe rendere la trattativa ''difficile'', ammette Barroso, ma la crisi economica abbattutasi pesantemente sulle due sponde dell’Atlantico potrebbe, di fatto, allentare le tensioni. “Ci sono elementi per trovare soluzioni” dice Barroso, spiegando che “entrambi abbiamo bisogno di crescita e tutto questo aiuta a stimolarla''. Al via libera per quella che potrebbe essere una rivoluzione epocale si è arrivati dopo oltre un anno di contatti e lavori del cosiddetto “Gruppo di alto livello”. Il problema per l'Europa sarà quello di non cedere sulle legislazioni in cui è più severa degli Stati Uniti.

Ma oggi un accordo del genere conviene maggiormente agli Stati Uniti o all’Europa? Salvatore Sabatino ha girato la domanda all’economista Carlo Altomonte: RealAudioMP3

R. - In realtà conviene a entrambi, perché il vero punto è quello di mettersi d’accordo sugli standard normativi e di regolamentazione delle diverse industrie, più che sulle tariffe che sono già molto basse. Se gli Stati Uniti e l’Europa trovano un modus operandi comune sulla definizione di regole e standard ambientali e industriali di sicurezza, del lavoro e etc, questi diventano standard globali. Questo darebbe, quindi, un vantaggio pazzesco alle due aree rispetto al resto del mondo.

D. - Da non sottovalutare che Usa ed Europa rappresentano insieme quasi la metà del Pil mondiale, siamo intorno al 47 per cento. Se si avverasse questa ipotesi, cosa accadrebbe a livello mondiale? Possiamo immaginare, ad esempio, che la Cina non ne sarebbe molto contenta…

R. - Però la Cina sarebbe, in qualche modo, poi coinvolta nell’altro grande accordo che gli Stati Uniti stanno provando a chiudere, che è la Transatlantic Partnership con l’Asia: un’operazione rispetto alla quale evidentemente loro si porrebbero al centro dei due grandi Oceani. Questo darebbe, in generale, una sistemazione - anche abbastanza stabile - alle aree di influenza nel mondo. Per cui Europa e Stati Uniti, da un lato; Stati Uniti e Cina, dall’altro; e poi il link finale Cina-Europa, anche se noi con loro abbiamo già i principali scambi commerciale: in qualche modo chiuderebbero - passando dalla strada regionale - un accordo globale sugli scambi. Quindi, secondo me, in realtà la Cina non sarebbe contenta all’inizio, ma in prospettiva vedrebbe qual è poi la strada da percorrere: quindi, probabilmente da questo punto di vista, continuerebbe ad avere un atteggiamento positivo.

D. - Bisogna dire che non mancano certo le criticità, dal settore aeronautiche all’industria della difesa, fino al comparto agroalimentare. La crisi economica, che si è abbattuta pesantemente sulle due sponde dell’Atlantico potrebbe, di fatto, allentare queste tensioni?

R. - Sì, evidentemente potrebbe ed è probabilmente la ragione per la quale oggi si inizia a guardare più ai guadagni di un accordo che non ai numerosi punti di contrasto: il settore aeronautico ne è uno; il settore alimentare è un altro e quello dell’agricoltura è un altro ancora - che questo accordo porterebbe con sé. Evidentemente si tratta di un accordo difficile da chiudere, proprio perché ci sono tali e tanti interessi in gioco che i punti di contrasto sono davvero numerosi. Però è anche vero che, proprio perché noi stiamo ragionando in un mondo che, dal dopo crisi, guarderà sempre di più ai Paesi emergenti, è fondamentale che i Paesi avanzati segnino la strada da questo punto di vista, in tema proprio di integrazione economica e commerciale. E’ probabilmente questa la ragione politica per la quale oggi si può parlare seriamente di una possibilità di accordo: cinque anni fa questa cosa non sarebbe possibile, perché ci separavano più differenze che punti in comune.

D. - Insomma questo potrebbe essere uno straordinario precedente su cui edificare veramente una nuova economia mondiale?

R. - Sì, secondo me è il primo passaggio di quella che io considero la nuova fase della globalizzazione dopo la crisi. La crisi, da questo punto di vista, ci ha detto che un vecchio modello di globalizzazione non è più possibile. Mi chiedono sempre quando usciremo dal tunnel: io vi posso dire che la data non la so precisamente, ma so che quando usciremo dal tunnel non troveremo più il mondo che abbiamo lasciato all’inizio del tunnel. Questo è, forse, il primo segnale in questa direzione.








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