Tunisia nel caos. Sciopero generale nel giorno dei funerali di Belaid. Ennhada si
spacca
Tunisia. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, condanna fermamente l'assassinio
di Chokri Belaid. Oggi i funerali dell’esponente politico dell'opposizione ucciso
due giorni fa sotto casa. Tensione nelle piazze del Paese. Indetto per oggi lo sciopero
generale. Intanto sul fronte politico il presidente della repubblica si è detto contrario
ad un esecutivo fatto di tecnici come auspicato dal premier Jebali e il partito di
governo Ennhada si divide. Massimiliano Menichetti:00:01:23:98
Oggi
sarà la giornata più calda dalla rivoluzione dei gelsomini, che due anni fa rovesciò
il regime Ben Ali. L’uccisione, mercoledì, del leader dell'opposizione laica, Chokri
Belaid, rischia di far piombare la Tunisia nel caos. Ieri centinaia di manifestanti
hanno attaccato e saccheggiato una stazione di polizia a Tunisi, contestazioni anche
a Gafsa, qui 7 persone sarebbero rimaste ferite, ma tensioni con la dura risposta
della polizia si registrano in varie città del Paese. E oggi nel giorno dei funerali
di Belaid, che si terranno in forma solenne, con la supervisione del ministero della
Difesa e dell'esercito, l'Ugtt, il principale sindacato tunisino, ha accolto l'appello
dell'opposizione laica e per la prima volta dal 1978, ha proclamato uno sciopero nazionale
che paralizzerà la il Paese. Sul fronte politico il partito di governo Ennhada, vicino
ai Fratelli Musulmani, spaccandosi al suo interno, ha respinto la proposta del premier
filo-islamico Hamad Jebali della formazione di un esecutivo tecnico. “No” a questa
soluzione anche dal presidente della Repubblica, Monce Marzouki, che nell'iniziativa
vede il rischio di un golpe. In questo scenario proseguono senza grandi svolte le
indagini per far luce sull’assassinio di Chokri Belaid. Il gruppo salafita tunisino
'Ansar al-Sharia' ha fermamente negato qualsiasi legame dei suoi seguaci con l'omicidio
del leader dell'opposizione di sinistra. Intanto in una nota il Segretario generale
dell’Onu Ban ki-Moon ha condannato l’attentato, sottolineando che nel Paese ci sono
stati progressi importanti nella transizione democratica, ma che ''resta ancora molto
da fare per quanto riguarda il processo costituzionale e per soddisfare le esigenze
economiche e sociali della popolazione''. "La transizione democratica della Tunisia
- ha affermato – non dovrebbe essere ostacolata da atti di violenza politica"
Sulla
situazione in Tunisia, Fabio Colagrande ha intervistato Adnane Mokrani,
tunisino, teologo musulmano, docente alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio
Istituto di Studi Arabi e Islamistica:
R. – Chokri
Belaid è una persona che ha lottato contro la dittatura, credeva nella democrazia
e nella libertà. Il suo assassinio è un dramma da condannare radicalmente, ma spero
sia anche una speranza per unire il popolo tunisino contro i nemici della democrazia
e dare la priorità all’unità nazionale, agli obiettivi della rivoluzione, che sono
dignità, lavoro, libertà, e non perdersi nelle lotte tra partiti e tra interessi egoistici.
La priorità ora è di finire di scrivere la Costituzione, fare nuove elezioni e arrivare
a un governo normale, secondo una Costituzione ben stabilita.
D. – L’impressione
è che ci sia uno scontro anche tra due modi diversi di leggere l’islam, in Tunisia
come in altri Paesi che hanno attraversato la "primavera araba"…
R. - Sì, ho
sempre pensato che la democrazia senza gli islamisti sia impossibile e che con loro
sia difficile. C’è questa sfida reale, ma non si può negare la diversità, la pluralità,
il pluralismo interno del popolo. Non si può imporre uno stile di vita o un pensiero
unico. Dobbiamo comunque collaborare con quelli che sono convinti dei valori e dei
principi della democrazia per poter andare avanti.
D. - Le "primavere arabe"
stanno fallendo nel nord Africa?
R. – Il termine "primavera" non mi convince
molto. Siamo in cammino. Una rivoluzione è un processo lungo, potrebbe durare dieci
anni, forse di più. E’ un processo che chiede una maturazione culturale, un cambiamento
di mentalità, una preparazione. Adesso, il governo è totalmente nuovo, senza esperienza:
c’è bisogno di un’educazione politica, non solo per l’esecutivo, ma anche per l’opposizione.
Stiamo imparando. Non dobbiamo perdere la speranza, perché perdere la speranza significa
cadere nel peggio e tornare alla dittatura.
“Tutti i percorsi di transizione
sono grandi momenti in cui si affrontano grandissime difficoltà”. Lo ribadisce al
microfono di Fabio Colagrande, Osama Al-Saghir, parlamentare di Ennahda,
eletto nella Circoscrizione Italia dei tunisini all'estero, tra i fondatori dei "Giovani
Musulmani d’Italia":
R. – Come
partito Ennahda, stiamo cercando di affrontare questa situazione con la maggiore calma
e freddezza possibile, interagendo però con tutti gli eventi importanti che si stanno
verificando nel nostro Paese, dando importanza a ogni cosa, per riuscire a salvare
il nostro Paese. Credo ci sia ancora quel modo di pensare che vuole escludere gli
islamici dalla partecipazione democratica. Il nostro partito, lotta per la democrazia,
ha fatto entrare tante donne deputato all’interno del Parlamento: 42. A fronte dei
nostri 89 deputati, quasi il 50%. Mi chiedo quale partito europeo democratico abbia
la stessa percentuale di donne al governo. Quello che si sta cercando di fare è dimostrare
a tutti i costi che i rappresentanti di Ennahda siano incapaci e non accettino al
democrazia… Poi, si verificano eventi come questa uccisione e tutto contribuisce ad
incendiare l’atmosfera.
D. – Secondo lei, chi c’è dietro questo omicidio?
R.
– C’è dietro il vecchio sistema, ci sono dietro tutte quelle parti che hanno interesse
al ritorno del regime di Ben Alì: non necessariamente di Ben Ali in persona, ma c’è
chi ci sta rimettendo nel cambiamento, e per questo vuole riportare il Paese indietro.
Ennahda è l’ultima parte ad avere interesse a commettere un crimine come questo. Il
Paese oggi non è stabile, mentre noi lavoriamo giorno e notte per stabilizzarlo.
D.
– Nonostante quello che lei dice, però, si parla di un clima di forte insoddisfazione
popolare per il governo che fino adesso è stato al potere, in Tunisia. Perché, secondo
lei?
R. – Lei sa meglio di me che non esistono governi che riescono al 100%
nel loro andamento, dopo le rivoluzioni. In Tunisia, ci sono grandi richieste sociali
e queste non possono essere esaudite in un tempo ristretto. Per esempio, dopo tanti
anni in cui si è badato soltanto allo sviluppo delle zone costiere, c’è grande povertà
nell’entroterra… Ecco, questi sono i nostri problemi: riuscire a garantire una vita
dignitosa a tutti, ovunque si trovino nel territorio tunisino. Qualsiasi parte, interna
o esterna al Paese, voglia contribuire alla stabilità e miglioramento è amica del
popolo tunisino. Qualsiasi parte, invece, che voglia destabilizzare il Paese, dal
suo interno o al suo esterno, è nemica del popolo tunisino. Noi cercheremo di rafforzarci
con tutti i nostri amici.