Egitto: critiche per la visita del presidente iraniano Ahmadinejad
Storica visita del presidente iraniano, Ahmadinejad, ieri in Egitto. Si tratta della
prima volta di un capo di Stato di Teheran dalla rottura delle relazioni diplomatiche
fra i due Paesi oltre 30 anni fa. Ad accoglierlo il presidente egiziano Morsi. E mentre
in Egitto non si ferma la protesta nei confronti proprio di Morsi e della contestata
islamizzazione, non sono mancate critiche nei confronti della visita del leader iraniano.
In particolare il gran imam di Al Azhar, il più prestigioso centro teologico sunnita,
Ahmed el Tayyeb, ha respinto in maniera ''categorica'' i tentativi sciiti di intromettersi
nei Paesi sunniti. Dal Cairo, Marina Calculli: E’ la prima volta
dal 1979 che un capo di stato iraniano visita l’Egitto. D’altra parte Mohammed Morsi
si era guadagnato lo stesso primato in Iran, quando ad Agosto aveva partecipato a
Teheran al meeting del movimento dei non-allineati. Sullo sfondo della diffidenza
tra i due paesi c’è la frattura dottrinale, ma anche geopolitica, tra Sunniti e Sciiti.
Nonostante questo, è dalla caduta di Mubarak che l’Iran cerca di riallacciare le relazioni
diplomatiche con l’Egitto, provocando spesso l’ira dell’Arabia Saudita. Al centro
dei colloqui tra Morsi e Ahmadinejad c‘è la Siria, ma anche la questione palestinese.
Il presidente iraniano ha espresso il desiderio di visitare Gaza, dichiarando inoltre
che la geografia politica della regione cambierebbe se Iran ed Egitto avessero una
posizione comune. La visita del presidente iraniano ha però provocato diversi malumori,
soprattutto tra i salafiti, che avevano addirittura chiesto a Morsi di vietare la
visita. E quando ieri Ahmadinejad si è recato alla moschea di Sayyeda Zeinab una folla
l’ha assalito, gridandogli di andarsene e accusando di voler trasformare l’Egitto
in una dittatura islamica. In che modo la riapertura dei contatti tra Iran ed
Egitto influenzerà i rapporti bilaterali tra le due diplomazie? Salvatore Sabatino
ne ha parlato con Francesca Paci, inviata del quotidiano "La Stampa": R. – E’ una visita
molto importante. Però, credo che più che rafforzare i rapporti tra i due Paesi, che
difficilmente diventeranno fortissimi alleati - principalmente perché l’Arabia Saudita
non sarebbe molto contenta del fatto che l’alleato sunnita egiziano vada a braccetto
troppo calorosamente con l’Iran sciita -, sia un incontro importante per i due protagonisti,
il presidente Ahmadinejad e il presidente Morsi, entrambi in grandi difficoltà, sia
in casa che sul piano internazionale. Ahmadinejad va a raccogliere al Cairo la dimostrazione
che può non essere isolato. Ahmadinejad ha problemi non soltanto come presidente iraniano
su scala internazionale ma anche all’interno, perché non va più molto d’accordo con
la Guardia Rivoluzionaria. Per quanto riguarda il presidente Morsi, l’opposizione
interna, che ormai è in piazza da circa due mesi, affronta parecchie difficoltà. Le
violenze stanno prendendo un po’ la mano. Poi c'è anche l’economia: da una parte,
il prestito del Fondo monetario internazionale di cui il Paese ha bisogno, la difficoltà
di "ammiccare" alla pancia religiosa e conservatrice del Paese, dall’altra l'assicurarsi
una credibilità sullo scenario internazionale...
D. - Egitto e Iran hanno due
posizioni divergenti sulla Siria. Come sarà possibile mettere insieme la politica
di appoggio ad Assad da parte di Ahmadinejad e quella filo-resistenza di Morsi?
R.
– Secondo me, proprio la necessità reciproca che hanno l’uno dell’altro, cioè di accreditarsi
come leader di due Paesi estremamente importanti nella regione, può far chiudere un
occhio a entrambi. Già quest’estate, quando Morsi è andato a Teheran e fece il famoso
discorso molto filo-resistenza anti-Assad, l’Iran fu assolutamente spiazzato in un
primo momento. Però, dopo ha chiuso un occhio su questa cosa. Ahmadinejad ha preferito
dire: "Va bene, la posizione di Morsi è filo-ribelli, mi interessa meno rispetto al
fatto di poter avere un partner in questo momento". La stessa cosa vale per quanto
riguarda Morsi che, pur essendo fortemente a favore dei ribelli, ha sempre tenuto
una distanza dalle ipotesi di intervento esterno per sostenere l’opposizione siriana.
D.
– Altro argomento assolutamente delicato è ovviamente il rapporto con Israele. Sappiamo
che il Cairo e Teheran non hanno più rapporti diplomatici proprio da quando l’allora
presidente Sadat, siamo nel ’79, firmò un accordo di pace con lo Stato ebraico. Da
questo punto di vista ci sarà un accordo?
R. – Qui le agende divergono e parecchio,
nel senso che per l’Iran l’arcinemico sionista, è quasi una ragione d’esistere mentre
Morsi, nonostante siano venute fuori le sue affermazioni contro Israele, il diritto
di esistere, ecc..., di solo pochi mesi prima che venisse eletto, si sta muovendo
o sta cercando di muoversi in maniera molto pragmatica. Quindi, da una parte, ha bisogno
dell’Iran perché questo fa vedere al Medio Oriente che l’Egitto è potente; dall’altra
parte, ha bisogno dell’Arabia Saudita, che pure essendo sunnita, è quella che insieme
al Qatar gli garantisce parecchi investimenti. Poi, ha bisogno degli Stati Uniti che
quattro giorni fa gli hanno consegnato quattro jet F16 come promesso. Ha bisogno anche
di Israele, non tanto per il trattato di pace e per i palestinesi, quanto per la garanzia
del Sinai che è completamente fuori controllo e su cui Israele e Egitto stanno collaborando
e parecchio.
D. – Al Cairo è presente anche il presidente turco Gull che firmerà
importanti contratti. Quanto possono aiutare l’economia egiziana tutti questi rapporti
di Morsi con gli altri capi di Stato?
R. – I rapporti con il mondo sono importantissimi.
Quando dicevo prima che Morsi sta cercando di muoversi in maniera pragmatica, volevo
dire che cerca di tenere una staffa con l’Iran che potrebbe garantirgli una fornitura
di gas e petrolio che servirebbe a Morsi e servirebbe a Teheran per aggirare l’embargo
internazionale. Ma nel frattempo Morsi è andato in Cina, quindi ha agganciato importanti
rapporti commerciali con la Cina; è andato in Germania dalla Merkel dopo essere stato
in Italia, quindi sta lavorando sul fronte europeo; con l’America lo sta facendo dall’inizio.
Sta cercando di muoversi in maniera pragmatica proprio perché il vero tallone di Achille
dei Fratelli musulmani - che hanno preso il potere dopo la loro intera esistenza passata
all’opposizione e in clandestinità - è proprio l’economia. Tanto è vero che, proprio
in questo momento, anche l’opposizione egiziana è estremamente immatura perché se
invece di stare continuamente in piazza, lasciasse governare i Fratelli musulmani,
li vedrebbe cadere sul problema più serio dell’economia: il 60 per cento della popolazione
ha meno di 30 anni, i tassi di disoccupazione sfiorano il 40 per cento, il turismo,
che è una delle cinque voci più importanti del Paese, è calato del 70 per cento… e,
soprattutto, con un Paese in sommossa, c'è l’incubo del prestito di 4,8 miliardi di
dollari del Fondo monetario internazionale, che verrà solo a condizioni di tagli pesantissimi,
tagli che si può permettere solo un presidente che ha un grande consenso e non un
presidente che da due mesi ha le piazze piene.