Alta tensione in Tunisia dopo l'uccisione del leader d'opposizione Belaid
E’ alta la tensione in Tunisia per l’uccisione di Chokri Belaid, leader del partito
di opposizione dei patrioti democratici, movimento che fa parte della coalizione anti-islamista.
Immediata la reazione della gente scesa in piazza in diverse città del paese per chiedere
le dimissioni del premier Hamadi Jebali. Sul fronte politico, le opposizioni presenti
nell'Assemblea costituente hanno deciso di fare dimettere tutti i loro rappresentanti.
Il servizio di Debora Donnini:
La Tunisia sull’orlo
di una crisi istituzionale. A scatenare la tensione, l’uccisione di Chokri Belaid,
freddato stamani da 4 colpi di proiettile. Belaid era uno dei principali esponenti
delle forze laiche tunisine, che si oppongono al governo del partito Ennahda, di stampo
islamista, eletto dopo le rivolte del 2011 che portarono alla caduta di Ben Ali. Negli
ultimi giorni aveva espresso molte riserve sull’operato dell’esecutivo. I partiti
di opposizione, riuniti in conferenza stampa, hanno annunciato che i loro rappresentanti
all’Assemblea costituente si dimetteranno mentre la gente ha incendiato diverse sedi
del partito Ennahda, indicato dalla famiglia di Belaid come mandante dell’omicidio.
Oggi, vicino al ministero dell’Interno, nel cuore di Tunisi, scontri fra migliaia
di manifestanti e la polizia che sta usando lacrimogeni e manganelli per disperdere
la folla. “Il popolo vuole la caduta del regime” è uno degli slogan lanciati dalla
gente. Dopo l’omicidio di Belaid, è rientrato immediatamente a Tunisi il presidente
Marzouki mentre il premier Jebali parla di atto di terrorismo.
Su quanto sta
accadendo nel Paese, Benedetta Capelli ha intervistato Chiara Zappa
di "Missionline", da poco rientrata da Tunisi:
R. – E’ stato
un omicidio shock, nel senso che nessuno si aspettava veramente un’escalation
di questo tipo. Il Paese è in un momento di fortissima difficoltà da tanti punti di
vista: sia per la crisi economica molto forte, che attanaglia la Tunisia e che non
è stata assolutamente affrontata in modo adeguato dal governo – il popolo è molto
arrabbiato e deluso – sia dal punto di vista sociale. Il Paese è fortemente diviso
a metà, si è creata una frattura molto forte tra laici e un’altra parte di popolazione
che si considera in qualche modo depositaria della tradizione islamica, anche invasiva
nella vita privata. Il problema emerso – me lo diceva anche la tunisina Lina Ben Mhenni,
attivista e protagonista dell’inizio della "primavera araba" con il suo blog “Tunisian
girl” – è che il governo, a maggioranza islamica, non fa che fomentare queste divisioni
tra una parte del popolo e tutti quelli che si definiscono laici, che cercano di portare
avanti alcune istanze e che vengono invece fatti passare per “non buoni” musulmani.
Inoltre, vengono fatti passare per conservatori, ovvero ancora vicini a ciò che era
il passato, quindi alla corruzione di Ben Ali… Questa polarizzazione forte e violenta
all’interno del Paese ha dato origine in questi mesi a molti episodi di violenza da
parte di gruppi legati ai salafiti, ma anche alle milizie create dal partito di Ennahda
che vengono poi fatte passare come garanti della rivoluzione.
D. – Adesso quali
scenari si possono prospettare?
R. – Gli scenari che a questo punto si prospettano
sono veramente gravi, nel senso che è cambiato qualcosa in questi giorni. Il governo
si poneva un po’ come baluardo contro la corruzione e proprio in questi giorni c’è
stato lo scandalo del ministro degli Esteri di Ennada che è stato coinvolto in un
caso di corruzione molto grave. Quindi, questa cosa è uscita allo scoperto e, secondo
me, ha messo veramente in difficoltà il suo partito. A questo punto – dopo questa
uccisione – lo spettro della violenza civile oggi aleggia davvero. È stato fatto un
passo in più, uno "strappo" per portare alle estreme conseguenze questa empasse.
D.
– A due anni di distanza, che bilancio si può fare nel Paese tunisino? Quali sono
i pro e quali invece i contro della rivoluzione?
R. – Il bilancio di questi
due anni è come sempre positivo. Positivo soprattutto il tentativo di cambiamento,
perché ci si è liberati davvero da una dittatura. Quello che è venuto dopo, però,
ovvero le tensioni interne, per ora hanno prevalso. Per quanto riguarda l’economia,
il governo della Tunisia non è stato in grado di trovare delle soluzioni “strutturali”
e a questo si aggiunge il fatto che il Paese è percepito dall’esterno come instabile
e infatti una voce importante del bilancio tunisino – quella del turismo – è andata
in crisi. Fa tutto parte, come dicono i critici, dell’incapacità di gestire la transizione
perché è stato lasciato troppo spazio – l’impressione è questa – a questi gruppi di
salafiti che non sono al governo. Ma i critici dicono che c’è una connivenza da parte
dei partiti islamici moderati al governo e i gruppi di salafiti che hanno attaccato,
per esempio, resort turistici. Quindi, è tutto un circolo vizioso e, secondo
me, il bilancio della rivoluzione è chiaramente positivo nel senso del cambiamento
e nel fare passi in avanti, ma è chiaro che oggi questi passi in avanti non saranno
gratis.