Pakistan: rifiutava di convertirsi all’islam, cristiano ucciso a colpi di pistola
È morto ieri pomeriggio Younas Masih, 55enne cristiano di Chaman, nella provincia
del Baluchistan, colpito il 31 gennaio scorso con cinque proiettili da uno sconosciuto
mentre tornava a casa. Le sue condizioni sono apparse critiche fin dall'inizio; dopo
cinque giorni di lotta fra la vita e la morte, egli è deceduto. Secondo le prime,
frammentarie ricostruzioni della vicenda, pare che sia stato oggetto di un attacco
mirato, per essersi rifiutato di convertirsi all'islam su pressione dei colleghi di
lavoro. Masih era impiegato in qualità di operaio in una ditta di Chaman; gli amici
lo descrivono come una persona onesta, affidabile e ferma nella sua fede cristiana,
tanto da essere più volte coinvolto nelle attività della parrocchia di appartenenza.
Fonti locali, dietro anonimato, raccontano all'agenzia AsiaNews che di recente alcuni
colleghi gli hanno chiesto di convertirsi all'islam; una proposta che egli ha rispedito
- sdegnato - al mittente, dicendo di voler restare "saldo nella fede in Cristo". Pur
sapendo di conversazioni alle sue spalle e nonostante le ripetute minacce, egli ha
continuato il lavoro e non ha mai ceduto alle pressioni o ai ricatti. Il 31 gennaio
i colleghi sono tornati alla carica, chiedendogli di nuovo di convertirsi. Ne è scaturita
una discussione animata, durante la quale sono volati insulti e minacce. Il giorno
stesso, sulla via di casa, egli è stato raggiunto da un uomo armato che l'ha fermato
e ha esploso cinque colpi di proiettile. Trasportato d'urgenza in ospedale, egli è
stato ricoverato in condizioni definite subito "critiche". I medici sono intervenuti,
estraendo i proiettili, poi lo hanno trasferito nel reparto di terapia intensiva dove
è rimasto fino al decesso. Il figlio ha cercato di denunciare l'episodio alle Forze
dell'ordine, ma gli agenti non hanno voluto redigere il First Information Report (Fir)
e aprire un fascicolo di inchiesta. Nonostante i ripetuti tentativi, le forze dell'ordine
hanno respinto ogni appello alla giustizia lanciato dalla famiglia. I parenti sono
devastati dalla perdita del loro caro e si sentono abbandonati da istituzioni e autorità.
Intanto le organizzazioni attiviste Masihi Foundation e Life for All, condannando
con fermezza l'omicidio, sono intervenute chiedendo giustizia a nome dei familiari.
E si dicono "sconcertate" per l'atteggiamento di polizia e autorità locali. Raggiunto
da AsiaNews padre James Chand, sacerdote a Quetta, parla di "tragedia" che "ha colpito
il cuore" perché "un uomo è stato ucciso per la propria fede". Egli conferma le ripetute
minacce subite da Younas Masih e definisce "sconcertante" l'atteggiamento delle autorità
che dovrebbero far luce sull'intera vicenda. "Chiediamo protezione per la vita e le
proprietà delle minoranze pakistane", conclude il sacerdote, che si rivolge ai responsabili
di governo e della giustizia perché assicurino "il rispetto dei diritti umani di base"
e "proteggano le minoranze dal clima di odio e violenze". (R.P.)