Il presidente di “Sesta Opera San Fedele”: dalla politica poche risposte ai problemi
delle carceri
Rinnovare l’appello ai partiti per porre la questione del sistema penitenziario al
centro del confronto politico in vista delle elezioni. E’ questa una delle finalità
della visita, oggi al carcere di San Vittore, del presidente italiano Giorgio Napolitano.
Ma oggi la classe politica non sembra dare adeguata attenzione a questi temi come
sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco,Guido Chiaretti, presidente
di “Sesta Opera San Fedele”, associazione di volontariato per l’assistenza penitenziaria
che affonda le proprie radici nel terreno della spiritualità ignaziana e della Compagnia
di Gesù:
R. - Quello
che si vede, ultimamente, è un silenzio assordante della classe politica su questi
temi. Questa è una condizione veramente incredibile, probabilmente perché ritengono
che l’opinione pubblica non sia sensibile su questi temi. E questo è sbagliato.
D.
- Quali sono le risposte più urgenti che dovrebbe dare il mondo della politica, oggi
impegnato su vari temi, ma non molto sulle condizioni delle carceri, in vista delle
prossime elezioni politiche?
R. - Tutto il mondo del volontariato da anni continua
a riproporre delle ricette a diversissimi livelli. A livello legislativo con la legge
Cirielli, sulle questioni della recidiva, delle tossicodipendenze. Poi c’è tutto il
problema del sovraffollamento da affrontare con la costruzione di nuovi carceri. Però,
prima di costruire nuovi carceri, occorrerebbero gli agenti per governare i penitenziari
che già esistono. Ce ne sono diversi già costruiti ma inagibili proprio per la mancanza
di agenti.
D. - E applicare l’ordinamento penitenziario può essere già una
prima risposta...
R. - Ciò che a noi sembra veramente una cosa molto importante,
fattibile e senza costi eccessivi è, paradossalmente, l’applicazione dell’ordinamento
penitenziario così com’è: se oggi questo venisse effettivamente applicato e, quindi,
si investisse sul trattamento all’interno del periodo di detenzione, questo porterebbe
un beneficio - secondo noi - abbastanza promettente. I dati ci dicono, ad esempio
che ci sono misure contro la recidiva, in Italia intorno al 68 – 70%: in un carcere
modello come quello di Bollatte, dove si applica estensivamente e sistematicamente
tutta una serie di forme alternative e trattamentali in maniera estensiva, la recidiva
scende al 19 – 20%. Quindi il trattamento è una delle chance a “basso costo” che richiederebbe
però la messa in opera di tutta una serie di opportunità offerte ai detenuti come
il lavoro, l’istruzione, le attività culturali e sportive, di svago, i contatti personali,
le modalità in cui si rendono possibili i rapporti con i familiari oppure con la società
esterna… Questi sono tutti mezzi che possono essere messi in pratica e il volontariato
- il carcere di Bollate ne è un esempio - è un punto chiave per questo.
D.
- Cosa chiede, in particolare, il mondo del volontariato per rendere più efficace
la propria presenza nelle carceri?
R. - La difficoltà in cui ci troviamo oggi
è molto legata alla crisi economica. Secondo dati consultivi del 2012, ci sono carceri
che sono passati da 90 mila euro di budget semplicemente per le pulizie, per l’igiene
delle persone, a seimila euro. Quindi da una parte c’è una voragine di bisogni che
si è aperta ancora di più rispetto a quello che era in passato, e dall’altra parte
noi ci vediamo un po’ isolati, emarginati, e dimenticati proprio da quella classe
politica. Io lo vedo qui a Milano. La classe politica fa fatica a mettere a disposizione
le risorse economiche per poter metterci in grado di aiutare queste persone. Noi siamo
puro volontariato. Quindi se l’ente pubblico non mette a disposizione delle risorse,
anche minime - si parla di poche decine di migliaia di euro per tutti i penitenziari
di Milano - è veramente una situazione drammatica. Secondo me, è proprio la responsabilità
della classe politica che deve dire che certi limiti di indigenza non devono essere
superati. Se la gente non ha niente per vestirsi o per lavarsi in carcere, non si
tratta solo di quel richiamo e di quella condanna che la Comunità europea ha fatto
verso l’Italia. E’ molto di più. Stiamo andando addirittura oltre quello che è stato
il richiamo dell’Europa.