7 anni fa l'assassinio di don Santoro. La sorella: esempio di testimonianza e dialogo
A sette anni dall’assassinio, avvenuto mentre pregava nella Chiesa di Santa Maria
a Trabzon in Turchia il 5 febbraio 2006, la Chiesa di Roma ha ricordato don Andrea
Santoro. Varie le iniziative di preghiera organizzate in questi giorni per ricordare
il sacerdote "fidei donum", definito da Benedetto XVI un “silenzioso e coraggioso
servitore del Vangelo”. A Trabzon è giunto un gruppo di pellegrini accompagnati dal
vescovo ausiliare di Roma mons. Matteo Zuppi per celebrare un’Eucaristia nel luogo
in cui il sacerdote venne ucciso: tra loro c’è la sorella Maddalena Santoro.
Paolo Ondarza l’ha raggiunta telefonicamente:
R. – Don Andrea
aveva solo questo desiderio: che la gente si accostasse alla Chiesa, a Gesù, all’Eucaristia
per fede, senza fare proselitismo. Lui diceva: non dobbiamo convertire ma convertirci
qui, nella terra dove gli Apostoli hanno predicato e fatto conoscere Gesù. E oggi,
l’unico modo possibile concesso in questi luoghi è essere presenti, ed è una presenza
viva. “Non abbandonate le vostre chiese”, ci diceva don Andrea, “siate presenti per
alimentare la vostra fede e per poterla poi testimoniare”.
D. – Questo esserci,
questa testimonianza cristiana silenziosa è l’esempio che don Andrea Santoro lascia
come eredità ai cristiani di oggi...
R. – Sì, è l’eredità che ci lascia, ma
che lascia a tutti. E tutti coloro che l’hanno conosciuto sentono veramente forte
questo desiderio di vivere il Vangelo in prima persona. Non tanto di annunciarlo nel
senso di dire agli altri quello che devono fare, ma ciascuno di noi sente quello che
deve fare egli stesso per essere più conforme a Gesù. E anche la sua morte
forse ci dà la forza di tentare di vivere questa conformità a Cristo nella vita di
ogni giorno, attraverso il lavoro, la famiglia, la presenza e la carità verso gli
altri.
D. – Don Andrea spronava a non lasciarsi mai vincere dalla tentazione
di fermare il dialogo …
R. – Sì, questo era importante. Anche questa mattina,
visitando la città, abbiamo incontrato un imam che don Andrea frequentava, ma per
amicizia, per dire “ci siamo anche noi”. Don Andrea era convinto che si potesse, attraverso
la semplice presenza cristiana, arrivare a conoscere Gesù, non soltanto come profeta,
ma come Figlio di Dio, come Dio che è venuto veramente per amarci e salvarci. Lui
diceva: “Ci vogliono uomini e donne coraggiosi, persone coraggiose che testimonino
il Vangelo attraverso la vita. La tentazione di chiudere le porte, di chiudere le
finestre è forte, soprattutto quando non si è apprezzati. Ma questa tentazione va
vinta perché bisogna aprire le finestre, bisogna aprire la porta, ed essere lì ad
accogliere quelli che vogliono entrare”, diceva lui, “ e anche ad uscire semplicemente
per salutare, per farsi conoscere, per dirsi: ecco, ci siamo!”.
D. – Lei si
trova a Trabzon dove suo fratello, Andrea Santoro, venne ucciso a colpi di pistola
il 5 febbraio 2006, mentre pregava con una Bibbia in lingua turca tra le mani. I proiettili
– lo ricordiamo – attraversarono – il suo corpo e il Libro Sacro. Che significato
assume, per lei, tornare su quei luoghi?
R. – Il senso è quello di visitare
anche i luoghi in cui Andrea è stato presente, dove ha vissuto. Come lui ci diceva
sempre: “Andiamo nella Terra Santa – compresa la Turchia oltre alla Palestina – dove
Gesù è passato, dove gli apostoli hanno camminato, per unire un po’ delle nostre fatiche
alla fatica degli apostoli, alla fatica di Gesù, di Dio che si è incarnato, camminando
sulla terra”. E quindi qual è il senso? Il senso è rivivere insieme a lui questa presenza
cristiana forte.