Padre Samir: la fuga dei cristiani dal Medio Oriente pone a rischio diritti e libertà
fondamentali
Diminuiscono i cristiani in Medio Oriente. Se all’inizio del secolo scorso rappresentavano
il 20% della popolazione, oggi, nei diversi Paesi dell’area asiatica sud-occidentale,
oscillano al massimo fino al 10 per cento. I cristiani migrano dal Medio Oriente per
le difficoltà in cui si sono trovati in seguito ai recenti conflitti. A Gerusalemme
e a Nazaret sono ormai il 2%, mentre la nazione con il maggior numero di cristiani
resta il Libano. Se ne contano approssimativamente il 35%, ma in diminuzione rispetto
a qualche anno fa. Tiziana Campisi ha chiesto a padre Samir Khalil Samir,
esperto di questioni mediorientali, come spiegare questi dati analizzando la convivenza
tra musulmani e cristiani:
R. - Quasi sempre
ci sono stati dei disagi. Ciò che viviamo oggi in tutto il mondo islamico è una continua
radicalizzazione della protesta contro il potere mondiale che si definisce come Occidente
- e l’Occidente è visto dai musulmani come cristiano, anche se è sempre più scristianizzato
- e ciò ha avuto delle ripercussioni sui cristiani locali.
D. – Che vuoto
hanno lasciato i cristiani nelle nazioni dalle quali si sono allontanati?
R.
– Più i cristiani lasciano il Paese, più i cristiani diventano un’esigua minoranza,
più alcuni principi della modernità, come ad esempio i diritti umani, vengono a cadere.
Con la diminuzione degli elementi cristiani, si fa un passo indietro nell’economia
ma, ancor di più nella politica, e soprattutto in tutto ciò che è legato ai diritti
umani: la situazione della donna, la libertà religiosa, la libertà tout court, il
progresso sociale, i diritti sociali per i più poveri e i deboli. Anche per questo
motivo sentiamo tra i musulmani - intellettuali e non solo, politici e anche gente
di media cultura - dire: “Per favore, non andatevene! Rimanete! Abbiamo vissuto insieme
per secoli!”. Questo è quello che si sente dire.
D. – Secondo lei quale equilibrio
potrebbe far funzionare società multietniche e multireligiose? R. – Penso che
prima di tutto l’unica via sia quella di vedere la diversità come una ricchezza e
non come un impoverimento. Questo è il primo principio che la storia ha dimostrato:
laddove le nazioni accettano di vivere in molteplicità, queste sono nazioni più progredite.
La multiculturalità attuale non corrisponde alla nostra multiculturalità che ha secoli
di vita; questo è il primo punto. Seguendo questa linea, accettare che ci siano dei
principi comuni, dunque una Costituzione che dia la parità a tutti, riconoscendo delle
varietà culturali o strutturali qua e là. Ciò che i cristiani desiderano è un sistema
che non faccia discriminazione basata sulla religione e non faccia nessuna discriminazione.
Siamo in una fase del mondo arabo molto delicata, difficile. Si tratta di passare
da un mondo dittatoriale che non ha praticato la democrazia, ad un mondo democratico
che cerca di riconoscere il valore di ogni persona umana nell’assoluto.