2013-02-01 14:44:25

Libia, Mons. Martinelli: religiosi costretti da islamisti a lasciare la Cirenaica


A circa due anni dallo scoppio della crisi in Libia che ha portato alla destituzione di Gheddafi, una bomba è esplosa giovedì scorso contro una stazione di polizia di Bengasi, nell'Est del Paese, senza provocare vittime. E’ il terzo episodio contro poliziotti in due settimane. C’è poi la notizia di due comunità religiose che hanno lasciato la Cirenaica dopo aver subito pressioni dai fondamentalisti. La denuncia, tramite l'agenzia vaticana Fides, è di mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, che parla di “situazione critica” nell'Est della Libia. Il presule è stato raggiunto telefonicamente dalla collega del programma francese Hélène Destombes:RealAudioMP3

R. - La presenza delle comunità religiose è sempre stata un punto di riferimento, di dialogo, con la comunità musulmana libica, a partire da Tobruk fino a Bengasi, in particolare in questa regione. Però, in questi ultimi tempi, ci siamo accorti dell’insorgere del fondamentalismo che ha condizionato tutti i rapporti: rapporti sociali, rapporti di lavoro, rapporti anche di amicizia nel mondo arabo musulmano con la Chiesa. In particolare, sorgenti di fondamentalismo sono state rintracciate nella zona di Derna, Beida e ultimamente anche a Barca (Barce El Merg). Queste realtà condizionano certamente l’evoluzione e il rapporto con il mondo musulmano e quindi con la Chiesa. A noi dispiace perché è stato sempre un rapporto proficuo, molto importante, che ci ha aiutato a crescere in comunione con il mondo arabo e musulmano. Adesso purtroppo la situazione sta cambiando. Stiamo a guardare. Vedremo cosa succederà nell’anniversario di questa rivoluzione, tra pochi giorni. Al vescovo di Bengasi, mons. Sylvester Magro, è stato consigliato di lasciare la casa dove abita a Bengasi e di ritirarsi in un ospedale per non subire eventualmente maltrattamenti, ma lui ha chiesto di restare per occuparsi della comunitàcristiana.

Ma cosa dire della situazione generale della Libia? Fausta Speranza ne ha parlato con il prof. Luciano Bozzo, docente di relazioni internazionali e studi strategici all’Università di Firenze:RealAudioMP3

R. – Si sommano problemi, crisi e conflitti diversi. La Libia – non è scoperta di oggi – è una costruzione politica coloniale, un frutto del colonialismo italiano. Tiene assieme territori molto diversi, come noto: la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan, nei quali si muovono, vivono, sono insediate 150 tribù. Naturalmente in questo territorio oltre a quei movimenti di natura in parte anche laica che hanno portato pure in Libia a quel fenomeno che è stato definito più in generale “la Primavera araba”, si è innestato su questo fenomeno, come era da attendersi, un movimento fondamentalista islamico di ispirazione salafita, qaedista, comunque jihadista. La situazione, poi, è molto confusa perché in realtà il Paese, dal punto di vista del controllo del territorio, è frazionato: non esiste un’autorità centrale a Tripoli che possa vantare l’effettivo controllo del territorio. E quindi si tratta di vedere chi riuscirà tra questi diversi gruppi, movimenti ad assumere la leadership. Ma credo di poter dire che sarà molto difficile nei prossimi anni, per non dire nei prossimi decenni, prevedere un ristabilimento della Libia simile a quello che conoscevamo, proprio perché non mi pare che vi siano un movimento o un leader in grado di imporre il controllo dell’intero territorio e che, soprattutto, abbia i mezzi e il sostegno per farlo.

D. – Che dire degli equilibri regionali? Abbiamo visto quanto è successo in Algeria, legato all’operazione francese in Mali, quindi anche la connessione tra forze integraliste di diversi Paesi. Che dire a questo proposito della Libia?

R. – Io credo che la situazione nell’intero scacchiere regionale sia molto preoccupante. L’episodio in particolare avvenuto in Algeria, cioè la strage all’impianto petrolifero della Bp, mi sembra che ne sia soltanto l’ennesima testimonianza. In realtà, quello che sta accadendo in Mali, nel territorio meridionale dell’Algeria – sebbene in scala più limitata – si inserisce, appunto, in un contesto caratterizzato dal fatto che noi, in realtà, ci troviamo di fronte al progressivo estendersi di una fascia di crisi che si allunga dalla Mauritania, o addirittura dal Sahara occidentale, attraverso il Mali, il Niger e il Ciad fino al Sudan e all’Eritrea. Questa fascia si allunga dall’Oceano atlantico fino praticamente al Mar Rosso, senza soluzione di continuità, perché basta aprire una carta geografica per rendersi conto che molti dei confini tra i Paesi che ho citato non sono altro che linee rette tracciate sulla sabbia. In questa fascia, appunto, si stanno diffondendo movimenti qaedisti e jihadisti, che tra l’altro si stanno saldando con preesistenti movimenti di natura “nazionalista”, movimenti di liberazione nazionale come quello storico laico dei Tuareg. E’ questo il caso del Mali. Gruppi simili trovano naturalmente molto semplice spostarsi in un territorio vasto, desertico dove i confini sono molto spesso fittizi e trovano facile innestarsi su rivendicazioni locali di lunga data, che si collegano poi anche a movimenti analoghi in Paesi vicini alla fascia che ho citato: la ricordata Algeria ma anche il Nord della Nigeria, con Boko Haram.

Ultimo aggiornamento: 2 febbraio 2013







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