2013-02-01 16:03:22

"Gesù nel fratello" al centro del Convegno dei vescovi amici del "Movimento dei Focolari"


Si è concluso giovedì scorso, a Roma, il consueto raduno tra i vescovi "amici del Movimento dei Focolari" d’inizio anno che, questa volta, si moltiplicherà in diverse regioni del mondo tra cui Libano, Corea del Sud, Camerun, Madagascar, Stati Uniti, Brasile e Germania. Una trentina i vescovi partecipanti che mercoledì scorso, all’udienza generale, hanno ricevuto il saluto e l’incoraggiamento di Benedetto XVI. Oltre all’approfondimento del tema centrale, “Gesù nel fratello”, nelle giornate d’incontro hanno trovato spazio riflessioni e confronto sulla nuova evangelizzazione e la spiritualità di comunione nell’oggi della Chiesa e del mondo, la sfida della sinodalità ecclesiale, la storia dei Focolari in relazione al Concilio Vaticano II. Adriana Masotti ha chiesto un commento a due dei presuli presenti: mons. Francisco Perez Gonzalez, arcivescovo di Pamplona e Tudela, in Spagna, e mons. Anton Cosa, Vescovo di Chisinau, nella Repubblica di Moldova. Ecco le loro riflessioni:RealAudioMP3

R. – Come ci dice la Parola di Dio anche i demoni hanno la fede ma non hanno la carità. La fede senza la carità non serve a niente, le due cose devono andare insieme, tanta fede quanta carità. Per questo io mi sono chiesto: come posso vivere la fede? E subito dopo: come vivo la carità verso gli altri, con i miei preti, con i fedeli, nelle visite pastorali, nei rapporti personali, nei rapporti comunitari? Vivendo la carità, per amore di Dio, uno crede, perché la fede non è teorica, la fede è credere nell’amore di Dio e metterlo in pratica.

D. – Il Papa nel saluto all’udienza a voi vescovi ha detto che auspica che il carisma dell’unità a cui fate riferimento vi possa aiutare nel vostro ministero apostolico. Questo carisma dell’unità in che modo aiuta lei in questo?
R. – La mia diocesi è una diocesi di 700mila abitanti e ci sono diverse tradizioni, anche due lingue, lo spagnolo e il basco. La realtà a volte è stata molto dura. Adesso sembra ci sia un punto di speranza, che l’Eta lasci veramente le armi, che lasci tutto per cominciare un periodo di pace. Adesso bisogna ricostruire quello che c’è da ricostruire di umanità, di unità, di fratellanza e per questo bisogna anche mettersi nella linea di quello che dice Gesù. Dobbiamo chiedere perdono e pentirci del male che si è fatto e, poi, andare avanti. Speriamo che questo si faccia. Dico sempre che la pedagogia della Chiesa, cioè riconoscere il peccato, pentirsi, chiedere perdono e non commettere più il male, è la pedagogia migliore, la pedagogia che ci manifesta il Vangelo e che ci manifesta Gesù.

La testimonianza di mons. Anton Cosa, sempre al microfono di Adriana Masotti:RealAudioMP3

R. - Ormai sono vescovo da 13 anni e durante questi anni mi sono molto avvicinato a questo carisma dell’unità di Chiara Lubich. Mi sento molto confortato nel mio essere e nel mio lavoro di vescovo, perché Chiara ci ha insegnato ad essere vescovi mariani, cioè vescovi che seguendo Maria, seguendo la sua donazione, la sua umiltà si aprono a tutto il mondo. Io sono l’unico vescovo in tutto il mio Paese, però la spiritualità di unità che noi accogliamo e riconfermiamo ogni anno, ogni volta che ci raduniamo insieme, ci dà la certezza che anche se siamo lontani non siamo mai soli, perché viviamo l’unità anche a distanza. E il Vangelo dice che dove due o tre sono radunati nel suo nome, lì c’è Gesù.

D. - Che cosa vuol dire lavorare per l’unità nella sua diocesi?

R. - È una grande sfida, perché i cattolici in questa terra moldava sono una piccola diaspora, cioè siamo pochissimi in rapporto alla maggioranza ortodossa - siamo circa 20 mila cattolici - e oltre a questo siamo anche molto diversi, di varie lingue, culture e appartenenze etniche. Creare unità non è facile, però all’interno di tutto questo il vescovo ha il suo ruolo e io cerco di essere quel punto di riferimento: offro e chiedo a tutti una massima apertura partendo dalla mia testimonianza.

D. - Al centro dell’incontro di questi giorni, c’è stata la riflessione sul tema che il Movimento dei Focolari ha scelto quest’anno di approfondire: l’amore al fratello. Che cosa ci vuol dire su questo?

R. – Il fratello, potremmo anche dire: "l’altro dà a me, un altro me" ….. io ho capito che non esiste un’altra via per evangelizzare, per creare ponti, per offrire speranza. Vivere accanto al fratello che il Signore ci mette vicino è una sfida ma ogni fratello che tu incontri, ogni fratello che hai ascoltato è un modo per vivere il Vangelo, è un atto di fede. E’ quello che ci chiede anche quest’Anno della Fede, cioè far crescere la nostra fede, però senza carità non c’è la fede. Prima dobbiamo credere che Lui ci ha amati e poi noi dobbiamo fare il nostro passo. Io come vescovo non potrei essere più in grado di servire la Chiesa e di compiere il mio ministero se non andando su questa via: la via del fratello.

Ultimo aggiornamento: 2 febbraio 2013







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