India. Donne disabili, ultime tra le ultime: le iniziative di Pangea
L’India nelle scorse settimane è stata teatro di importanti manifestazioni contro
la violenza sulle donne. Migliaia di persone sono scese in strada per protestare in
occasione della morte di una giovane ragazza che a New Delhi aveva subito uno stupro
di gruppo. Nel corso dei giorni sono cresciute le denunce di aggressioni ma la realtà
ancora non cambia. Benedetta Capelli ha raggiunto telefonicamente a Calcutta,
Luca Lo Presti, presidente della fondazione Pangea Onlus, che da anni opera
in India per migliorare le condizioni di vita delle donne disabili:
R. – Siamo in
India dal 2007 ed in questo momento sono nello slum di Park Circus, quella che è proprio
la “città della gioia”, dove la gente vive a mezzo metro dal binario del treno, in
baracche fatte di stracci, di pezzi di gomma e plastica. È sempre stato così ed ho
il timore che sempre sarà così. In questi giorni - finalmente - si è data eco a quelle
che sono le violenze che qui le donne subiscono, al disconoscimento che le donne subiscono
in un Paese che si dichiara la più grande democrazia del mondo. Qui però il cambiamento
vero che si è sentito è stato quello della società civile. E’ scesa infatti nelle
piazze, in strada, protesta perché chiede le leggi. Io ho avuto modo di parlare con
un parlamentare dello Stato del Sud Bengala che nega assolutamente che in questo Stato
e che in India ci siano violenze: dice che sono effetti sporadici di “violenza controllata”,
una bolla mediatica. Sappiamo benissimo, invece, dai rapporti di Pangea ma anche dai
rapporti di tantissime altre organizzazioni, che la media statistica dello stupro,
qui in India, è uno ogni 80 secondi. Siamo davanti alla negazione da parte delle istituzioni,
davanti ad una realtà che è quella che ho di fronte in questo istante con bambini
nudi che giocano sui binari, dove tra poco passerà un treno, mamme che cercano disperatamente
di sopravvivere e di far vivere i loro figli e uomini che qui a Calcutta sono gli
ultimi, i cosiddetti “uomini cavallo”, ovvero quelli che tirano a piedi i risciò.
L’India della grande tecnologia e delle grandi innovazioni, della grande economia
e sviluppo è veramente lontana da quello che è la gente, la popolazione che, per la
maggior parte, vive in questo grande continente. La forbice è altissima così come
la forbice dei diritti.
D. - Voi vi occupate della condizione femminile ed
in particolar modo avete a cuore la condizione delle donne disabili. Su questo fronte
Pangea quale impegno ha?
R. - Pangea, nelle aree del mondo in cui lavoro, fa
“microcredito”: progetti che portano sviluppo e non assistenza, o assistenzialismo;
progetti che - qui a Calcutta, o in altre parti dell’India - partono proprio dalle
“ultime delle ultime”, ovvero, le donne disabili che sono emarginate perché donne
e rigettate perché disabili. La bellezza di un progetto di sviluppo come il nostro
è il processo di emancipazione attivato che le ha portate fuori da queste baracche.
Abbiamo impiegato tre anni per far capire loro che esistevano, per far sì che loro
smettessero di essere oggetti anche di utilizzi sessuali, da parte di tutte le comunità
e da parte della propria famiglia, e perché oggi possano essere imprenditrici ed essere
assistite sia legalmente che da un punto di vista sanitario.
D. - Una dimostrazione,
quindi, che lavorare accanto alle persone, facendo loro capire che si hanno dei diritti,
dà frutti veri, consistenti e importanti…
R. - Sì, tutto deve partire proprio
dalla presa di coscienza perché non c’è aiuto che si possa dare. L’aiuto, ogni persona
lo deve dare a se stessa ma trova l’energia solo se parte da un processo di autoconsapevolezza,
che inizia dall’aspetto educativo e formativo.