Carceri: al via la campagna per introdurre in Italia il reato di tortura
Ripristinare la legalità nel sistema carcerario italiano. Con questa finalità sono
state depositate ieri presso la Corte suprema di Cassazione tre proposte di legge
di iniziativa popolare per introdurre in Italia il reato di tortura, ridurre l’affollamento
penitenziario e riformare la legge sulle droghe. L’iniziativa rientra nell’ambito
della Campagna “Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe”
promossa da varie organizzazioni, tra cui Antigone e Volontari in carcere. Sulle tre
proposte, cominciando dalla prima sul reato di tortura, Amedeo Lomonaco ha
intervistato Mauro Palma, portavoce della Campagna:
R. - L’Italia
ha ratificato, nel lontano 1988, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura
e ormai sono passati più di venti anni. Le varie legislature non sono riuscite a introdurre
questo reato. E’ vero che l’Italia ha sempre detto di perseguire quei comportamenti
con altri reati, tipo le lesioni, le lesioni aggravate, e via dicendo. Però, è altrettanto
vero che, anzitutto, dare al reato il nome di tortura ha effetto nel far capire l’unicità
di questo tipo di azione. E poi, è anche vero che le figure con cui i reati sono attualmente
perseguiti sono figure penali deboli, che vanno in rapida prescrizione. Tanto è vero
che quest’anno, per esempio, per almeno tre volte ci siamo trovati di fronte a sentenze
in cui il giudice diceva: questo è configurabile come tortura, però dal momento che
devo perseguirlo come violenza, lesioni, lesioni aggravate e via dicendo, tutto è
andato prescritto. Questo è grave perché lancia un messaggio di impunità e non è rispettoso
anche di chi ha subito simili comportamenti.
D. – La seconda delle proposte
di legge riguarda i diritti dei detenuti e temi cruciali come la riduzione dell’affollamento
penitenziario…
R. - Su questo tema abbiamo, da un lato, il supporto del presidente
della Repubblica e, dall’altro lato, anche le parole dello stesso Pontefice rispetto
alla dignità delle carceri. Ciò nonostante abbiamo un parlamento che - se mi si permette
il termine - è stato “balbettante” nei provvedimenti. Qualche piccolissima cosa è
stata fatta. Le intenzioni espresse dall’ultimo ministro della Giustizia, il ministro
Severino, sono intenzioni largamente condivisibili. Ma i provvedimenti sono inadeguati
rispetto alla gravità del problema. L’Italia continua a essere anche condannata in
sede internazionale - dalla Corte di Strasburgo, la Corte per i diritti umani - per
le strutturali deficienze del sistema detentivo e il suo sovraffollamento. Lacune
che fanno sì che, a volte, le condizioni di detenzione diventino offensive della dignità
delle persone che vi sono rinchiuse. Allora, bisogna intervenire riducendo i flussi
in ingresso e riportando il carcere a quel termine “extrema ratio”. Poi, invece, si
fanno sempre leggi che sembrano dare al carcere la prima scelta. Viene subito preferita
questa misura. Io ricordo che il termine “extrema ratio” rispetto al carcere venne
introdotto, nel suo intervento nel 1996, in un convegno proprio di Antigone, dal cardinale
Martini che utilizzò questo tipo locuzione che poi molti hanno ripreso. Si deve quindi
ridurre il ricorso al carcere, facilitare la possibilità per chi è meritevole delle
misure alternative, abolendo la legge cosiddetta “ex Cirielli” - legge che dà l’impossibilità
di concedere misure alternative a chi ha commesso più di un reato, a chi è stato recidivo
- istituire un garante sulle condizioni di detenzione che sia anche di monitoraggio
continuo e anche di supporto alla stessa amministrazione per affrontare i problemi
strutturali.
D. - Per ridurre il ricorso al carcere e anche per prevedere pene
detentive meno severe, la terza proposta vuole modificare la legge sulle droghe…
R.
– La legge sulle droghe, la cosiddetta legge “Fini-Giovanardi”, è una delle leggi
che determina molta carcerazione e la determina perché assume, al suo interno, una
categoria indistinta che mette insieme coloro che coltivano piantine per uso personale,
coloro che detengono droghe, coloro che invece spacciano, coloro che fanno traffico,
i narcotrafficanti. Cioè, mette insieme una serie di comportamenti assolutamente non
assimilabili e li mette insieme in una logica penalizzante. Allora, per noi, il primo
punto è togliere quello che la legge stessa definisce “fatti di lieve entità” e trattarli
a parte con forme non detentive. Il secondo punto è depenalizzare l’uso farmacologico
delle droghe perché altrimenti, in Italia, abbiamo anche la situazione in cui persone
devono ricorrere a cure all’estero proprio perché da noi tutto è totalmente bloccato.
Il terzo punto è non interrompere, con la detenzione, coloro che stanno facendo un
percorso di disintossicazione.