2013-01-25 14:35:41

Allarme terrorismo in Libia. Anche l'Australia richiama i suoi cittadini nel Paese


Allarme terrorismo in Libia. Anche Germania, Olanda, Australia, dopo la Gran Bretagna, hanno esortato i propri cittadini a lasciare la città di Bengasi. Londra ha parlato di “minaccia specifica, imminente” per gli occidentali, ipotizzando rapimenti e uccisioni. Dal canto suo, il governo libico ha definito le notizie infondate, ma ha deciso di rafforzare la sicurezza dei suoi impianti petroliferi dopo l’attentato al sito gasiero di In Amenas e le operazioni militari in Mali. Come giudicare questo allarme? Cecilia Seppia ne ha parlato con Federico Cresti, docente di Storia dell’Africa all’Università di Catania:RealAudioMP3

R. – Penso ci sia una possibilità di una recrudescenza dell’instabilità. Inoltre, a me sembra che di fronte a questa instabilità permanente, gli Stati che in qualche modo hanno appoggiato il cambiamento di regime abbiano solo fatto finta che tutto fosse regolare e tranquillo… Che poi ci possano essere gruppi dell’islamismo radicale, che in questa situazione si possano muovere, toccando gli interessi delle nazioni europee, è possibile.

D. – In effetti, le ultime notizie ci portano a dire che il dopo-Gheddafi è ancora pieno di incognite, pericoli…

R. – Problemi fondamentali nella Libia orientale, nella vecchia Cirenaica, sono di diverso tipo. Uno sicuramente è una vecchia tendenza – che si è dimostrata anche in richieste recenti di gruppi politici e di personalità politiche della Libia orientale – di una federazione: cioè, maggiore autonomia alle regioni, in particolare alla Cirenaica, perché possiede una gran parte delle risorse petrolifere. Secondo tema importantissimo per l’instabilità è il fatto che rimangono gruppi armati, soprattutto di giovani, dopo la rivoluzione, che cercano di affermare il loro diritto a una parte dei redditi petroliferi. Questi gruppi armati difficilmente lasceranno le armi, perché non avranno la garanzia di un inserimento, in diversi modi, nell’amministrazione dello Stato, le forze armate la polizia e cose del genere. Per il momento, tuttavia, sono ancora una forza rispetto la quale il governo deve muoversi e dovrà trovare una soluzione.

D. – Ci sono stati diversi attacchi in Libia per gli occidentali, l’ultimo contro l’ambasciata Usa a Bengasi in cui morì l’ambasciatore Stevens. Secondo lei, ci può essere una qualche correlazione con il nuovo allarme terrorismo?

R. – Non so se si tratti di un’unica organizzazione, su questo ci sono notizie abbastanza discordanti. Potrebbe essere possibile. Quello che è strano è che una parte di questi movimenti così radicali sono, sembra, finanziati dall’Arabia Saudita e il gioco diventa difficile da interpretare proprio per questi interventi esterni. L’Arabia Saudita che interessi avrebbe a sostenere questa instabilità per un futuro riassetto delle forze, anche internazionali, intorno alla Libia, rispetto per esempio all’Egitto? Sono tutti dubbi e io ho i dubbi di chiunque legga le notizie su quello che sta accadendo oggi in Libia.

D. – Da una parte, il governo libico ha smentito che ci sia questo allarme per gli occidentali nel Paese, dall’altra ha voluto rafforzare le misure di sicurezza nei suoi impianti petroliferi dopo l’attentato al sito gasiero di In Amenas e dopo l’intervento militare in Mali. Perché questa decisione?

R. – Fondamentalmente, senza il petrolio la Libia non esiste più. Dunque, il controllo del petrolio, risorsa assolutamente essenziale, è l’unica possibilità per il governo di dimostrare una legittimità, una capacità di fare. Se poi in questo quadro ci possa essere un legame con quello che è accaduto a In Amenas è da chiarire. Anche il governo algerino ha rafforzato le misure di sicurezza nei siti di estrazione e di passaggio dei prodotti petroliferi… Dunque, è una situazione un po’ generale per i Paesi vicini.







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