Allarme terrorismo in Libia. Anche l'Australia richiama i suoi cittadini nel Paese
Allarme terrorismo in Libia. Anche Germania, Olanda, Australia, dopo la Gran Bretagna,
hanno esortato i propri cittadini a lasciare la città di Bengasi. Londra ha parlato
di “minaccia specifica, imminente” per gli occidentali, ipotizzando rapimenti e uccisioni.
Dal canto suo, il governo libico ha definito le notizie infondate, ma ha deciso di
rafforzare la sicurezza dei suoi impianti petroliferi dopo l’attentato al sito gasiero
di In Amenas e le operazioni militari in Mali. Come giudicare questo allarme? Cecilia
Seppia ne ha parlato con Federico Cresti, docente di Storia dell’Africa
all’Università di Catania:
R. – Penso ci
sia una possibilità di una recrudescenza dell’instabilità. Inoltre, a me sembra che
di fronte a questa instabilità permanente, gli Stati che in qualche modo hanno appoggiato
il cambiamento di regime abbiano solo fatto finta che tutto fosse regolare e tranquillo…
Che poi ci possano essere gruppi dell’islamismo radicale, che in questa situazione
si possano muovere, toccando gli interessi delle nazioni europee, è possibile.
D.
– In effetti, le ultime notizie ci portano a dire che il dopo-Gheddafi è ancora pieno
di incognite, pericoli…
R. – Problemi fondamentali nella Libia orientale, nella
vecchia Cirenaica, sono di diverso tipo. Uno sicuramente è una vecchia tendenza –
che si è dimostrata anche in richieste recenti di gruppi politici e di personalità
politiche della Libia orientale – di una federazione: cioè, maggiore autonomia alle
regioni, in particolare alla Cirenaica, perché possiede una gran parte delle risorse
petrolifere. Secondo tema importantissimo per l’instabilità è il fatto che rimangono
gruppi armati, soprattutto di giovani, dopo la rivoluzione, che cercano di affermare
il loro diritto a una parte dei redditi petroliferi. Questi gruppi armati difficilmente
lasceranno le armi, perché non avranno la garanzia di un inserimento, in diversi modi,
nell’amministrazione dello Stato, le forze armate la polizia e cose del genere. Per
il momento, tuttavia, sono ancora una forza rispetto la quale il governo deve muoversi
e dovrà trovare una soluzione.
D. – Ci sono stati diversi attacchi in Libia
per gli occidentali, l’ultimo contro l’ambasciata Usa a Bengasi in cui morì l’ambasciatore
Stevens. Secondo lei, ci può essere una qualche correlazione con il nuovo allarme
terrorismo?
R. – Non so se si tratti di un’unica organizzazione, su questo
ci sono notizie abbastanza discordanti. Potrebbe essere possibile. Quello che è strano
è che una parte di questi movimenti così radicali sono, sembra, finanziati dall’Arabia
Saudita e il gioco diventa difficile da interpretare proprio per questi interventi
esterni. L’Arabia Saudita che interessi avrebbe a sostenere questa instabilità per
un futuro riassetto delle forze, anche internazionali, intorno alla Libia, rispetto
per esempio all’Egitto? Sono tutti dubbi e io ho i dubbi di chiunque legga le notizie
su quello che sta accadendo oggi in Libia.
D. – Da una parte, il governo libico
ha smentito che ci sia questo allarme per gli occidentali nel Paese, dall’altra ha
voluto rafforzare le misure di sicurezza nei suoi impianti petroliferi dopo l’attentato
al sito gasiero di In Amenas e dopo l’intervento militare in Mali. Perché questa decisione?
R.
– Fondamentalmente, senza il petrolio la Libia non esiste più. Dunque, il controllo
del petrolio, risorsa assolutamente essenziale, è l’unica possibilità per il governo
di dimostrare una legittimità, una capacità di fare. Se poi in questo quadro ci possa
essere un legame con quello che è accaduto a In Amenas è da chiarire. Anche il governo
algerino ha rafforzato le misure di sicurezza nei siti di estrazione e di passaggio
dei prodotti petroliferi… Dunque, è una situazione un po’ generale per i Paesi vicini.