Siria. Angoscia dell'Onu per morti e distruzione. Migliaia i profughi in Giordania
In Siria, dopo le stragi di lunedì nella provincia di Hama e a Damasco, l’Onu esprime
“angoscia” per morti e distruzione nel Paese, mentre continuano senza sosta i combattimenti
tra lealisti e ribelli. Intanto, si riaccendono le polemiche sulla presenza di armi
chimiche detenute dal regime. Secondo la stampa turca, il governo di Assad non potrebbe
usarle senza l’accordo della Russia. Tra l’altro, Mosca sta provvedendo al rimpatrio
di 81 dei suoi cittadini. Resta poi gravissima l’emergenza umanitaria, oltre 12 mila
profughi sono ammassati in queste ore al confine con la Giordania. Cecilia Seppia
ha sentito la dottoressa Fausta Micheletta, di Medici senza frontiere (Msf)
appena rientrata dalla Siria:
R. – Per quello
che ho visto, e che mi ha scioccato sia da un punto di vista umano che professionale,
è che la maggior parte dei feriti che ho assistito erano feriti civili, quindi vittime
di bombardamenti sulle città e bisognosi di un’assistenza sanitaria che in questo
momento è difficile da avere nel Paese.
D. – Quando i feriti arrivano da voi
in che condizioni sono?
R. – In genere i feriti, nella mia esperienza, arrivano
tutti insieme. Nel senso che il primo bombardamento è quello che crea più vittime,
perché trova la popolazione per strada, perché la trova “impreparata”, anche se sono
preparati perché sono mesi che vengono bombardati. Quindi, in genere il flusso è l’arrivo
da 4 a 12-15 feriti, tutti insieme. Quello che mi ha colpito è che in genere arrivano
famiglie intere che vengono colpite, perché magari durante il corso di un bombardamento
crolla un tetto del palazzo e quindi hanno ferite da trauma al chiuso, oppure perché
sono per strada e vengono colpite dai frammenti di bomba o di mortaio che erano sul
suolo.
D. – Tra gli altri problemi che in questo momento la popolazione sta
affrontando, c’è l’emergenza freddo, la fame… Insomma, i bisogni sanitari stanno crescendo:
voi come li state fronteggiando?
R. – Da un punto di vista sanitario, oltre
ad essere presenti in ospedali del nord, nordest della Siria, offriamo un supporto
logistico. Per esempio, l’ospedale nel quale ho lavorato io forniva supporto logistico
ai piccoli ospedali da campo gestiti dal personale sanitario locale e nelle città
più vicine al fronte. Supporto logistico vuol dire invio di materiale medico: dalle
garze, ai farmaci, a tutto quello che è necessario per stabilizzare il paziente e
permettere il trasferimento verso il nostro ospedale. O anche un supporto che può
essere legato alla fornitura di coperte perché, come accennava, è particolarmente
freddo e oltre a essere freddo non c’è elettricità e non ci sono riscaldamenti.
D.
– Tra l’altro voi lavorate solo in zone controllate dai ribelli e ci sono molte persone
che non riuscite a raggiungere…
R. – Questo ci tengo a sottolinearlo, nel senso
che Msf lavora nel nord del Paese, perché nonostante fin dall’inizio sia stata chiesta
l’autorizzazione al governo siriano per una nostra presenza ufficiale nel Paese, l’autorizzazione
non è stata mai concessa. Quindi, siamo in grado di assistere la popolazione civile
soltanto nelle aree controllate dai ribelli e purtroppo non ancora nelle aree controllate
dai governativi, dove pure sicuramente c’è bisogno di assistenza sanitaria alla popolazione.
D.
– Qual è la percezione che ha la gente nei confronti della comunità internazionale,
ma anche delle ong come Msf, che operano sul terreno?
R. – Nell’immaginario
della popolazione locale, c’è paura nei confronti della presenza di un ospedale. Per
esempio, nella comunità che ospita il nostro ospedale è vietato fare fotografie perché
l’ospedale viene considerato un target, ovvero un obiettivo dei bombardamenti
e quindi nelle zone di fronte, la maggior parte degli ospedali da campo sono nei sotterranei
dei palazzi, per essere sicuri nel caso di un bombardamento, e quindi alla difficoltà
di una guerra si aggiunge anche la paura da parte della popolazione civile di essere
accolta e curata all’interno di un ospedale. Sicuramente, c’è bisogno che tutta la
comunità internazionale intensifichi il bisogno sia della popolazione all’interno
della Siria, sia della popolazione che dalla Siria è scappata.