I clochard chiedono il voto: diritto riconosciuto dalla Costituzione ma non dallo
Stato
Sono in 20 mila, forse ancor di più, a chiedere di poter votare alle prossime politiche.
Sono i "barboni" italiani che, per il fatto di essere senza fissa dimora e senza documenti
validi, sono esclusi dalle liste elettorali. Un appello alla politica perché “esca
dai Palazzi e scenda in strada a guardare la realtà” è stato lanciato da WainerMolteni, fondatore dei primo sindacato dei senza fissa dimora “Clochard alla
riscossa”, e lui stesso per diversi anni barbone per le vie di Milano. FrancescaSabatinelli lo ha intervistato:
R. – Quando
perdi la residenza, quindi vieni sfrattato, perdi ogni tipo di diritto, perché la
residenza viene congelata nonostante, secondo la Costituzione, i sentatetto non dovrebbero
esistere. Invece, i senzatetto ci sono e si vedono negati tutti i diritti fondamentali
della Costituzione, a partire da quello alla salute, a quello anche solo di entrare
nelle liste per l’assistenza sociale nazionale, al diritto di voto. Quindi, il vero
“nessuno” è il senzatetto.
D. – Per quanto riguarda il voto, questa da parte
vostra vuole essere una provocazione?
R. – Se la Costituzione italiana mi dà
diritto ad avere una residenza, ad avere un lavoro, ad avere una casa, ad esprimere
il mio diritto al voto, non vedo perché un Stato, che dovrebbe essere garante della
Costituzione, mi vieta - soltanto perché io sto affrontando un momento di difficoltà
- tutti questi diritti. È un paradosso, non dovrebbe essere così. Io chiedo il rispetto
della Costituzione italiana.
D. – Il profilo dei senzatetto, delle persone
in seria difficoltà, come sta cambiando?
R. – E’ cambiato soprattutto negli
ultimi anni. Togliamo lo stereotipo del vecchio “avvinazzato” sulla panchina, che
aspetta il passaggio del cittadino che allunga qualche euro. Il clochard d’oggi
non è una scelta di libertà, ma è una condizione, uno status sociale, in cui sempre
più persone si vanno a ritrovare. La figura del clochard è cambiata: dal vagabondo
con lo zaino sulle spalle e la chitarra, si è passati all’anziano che non ce la fa
neanche ad arrivare non dico alla quarta settimana, ma alla seconda. Oppure, c’è il
padre separato, che deve versare il 90% di alimenti dal proprio stipendio e – nonostante
faccia due lavori – continua a dormire in macchina o in rifugi di fortuna, della Caritas
o altri di enti. Questi sono i nuovi poveri: persone acculturate, che hanno bisogno
di un appiglio con cui potersi tirar fuori da soli. Questi sono i nuovi poveri.
D.
– Ci sono associazioni che da sempre si battono perché queste persone godano dei diritti
a tutto tondo. In questa battaglia per il voto – che però è semplicemente un grimaldello
per l’accesso a tutto il resto – siete sostenuti?
R. – Siamo sostenuti da tanta
brava gente, indipendentemente dall’associazione a cui fanno riferimento, o dal partito
politico da cui provengono. Noi cerchiamo di far capire che un nuovo modo di fare
sociale è l’autodeterminazione: non più il classico assistenzialismo basato su un
piatto di pasta, o una carezza e un sorriso. Il cittadino in difficoltà chiede un
appiglio e questo deve essere garantito dalle istituzioni.
D. – Negli altri
Paesi europei, ad esempio in caso di elezioni, cosa accade?
R. – Accade che
il cittadino senza dimora può votare, ha diritto a votare. Io faccio riferimento alla
Francia, ma sono molti altri i Paesi europei – praticamente tutti – a garantire questo
diritto. In Francia, esiste una via che sulla toponomastica non esiste – e questo
succede anche in alcuni comuni in Italia, faccio prima di tutto riferimento a Bologna
– che garantisce il diritto ad “esistere”, perché fornisce una residenza, perché garantisce
un diritto fondamentale, ovvero quello all’esistenza.