Sono 48 gli ostaggi uccisi in Algeria: la rivendicazione di Al Qaeda
Al Qaeda rivendica la strage avvenuta in Algeria, nel sito gasiero di In Amenas. Sono
48 gli ostaggi rimasti uccisi nel maxi sequestro, concluso dopo quattro giorni dal
sanguinoso blitz delle forze speciali algerine. E ieri è giunta la rivendicazione
di Al Qaeda. Il servizio di Amina Belkassem:
Tentando di
bonificare il sito, minato nei giorni scorsi dal gruppo armato, l’esercito algerino
avrebbe trovato almeno altri 25 corpi. Sale così a 48 il numero degli ostaggi uccisi,
tra cui una decina di giapponesi, un francese, un americano, almeno tre inglesi, poi
rumeni, filippini, oltre a 32 jihadisti. “Un vero e proprio atto di guerra”, ha dichiarato
il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian. Un assalto rivendicato con un
video diffuso ieri su internet, dall’algerino Mokhtar Belmokhtar, in nome di Al qaeda.
Intanto è polemica su alcuni aspetti dell’attacco: i 200 addetti alla sicurezza del
giacimento erano, infatti, completamente disarmati. Mentre Washington ed altri Paesi
europei invitano i loro cittadini a non recarsi in Algeria per l’alto rischio di rapimenti.
Unanime la condanna internazionale, ma c’è anche indignazione nei Paesi coinvolti
per un’operazione che alcuni definiscono inaccettabile. Per un’analisi sulla situazione,
Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente l’esperto di Nord Africa, Luciano
Ardesi:
R. – A livello
diplomatico, l’Algeria oggi si trova in una bufera. C’è da dire anche che il pozzo
In Amenas è un punto strategico delle risorse energetiche del Paese e quindi anche
dell’Europa in modo particolare. Gli investitori stranieri chiederanno il rafforzamento
delle misure di sicurezza, ma non dovrebbero venir meno l’interesse e gli investimenti.
D.
– La condanna internazionale è stata unanime, espressa in particolar modo dagli Stati
Uniti. Sulla dinamica dell’azione condotta dall’esercito algerino restano, però, diversi
punti da chiarire…
R. – Questo sarà poi anche difficile: avere un quadro completo
di quello che effettivamente sia accaduto. L’Algeria non è nuova a questo tipo di
azioni: meno eclatanti perché non c’erano stranieri coinvolti, ma nella sua lotta
al terrorismo l’Algeria ha spesso impiegato le forze speciali e dei blitz che hanno
richiesto prezzi molto alti, sia per i terroristi sia per le stesse forze dell’ordine.
Il terrorismo, naturalmente, nasce dalle contraddizioni non solo nella società algerina,
ma in tutta l’area del Sahara e del Sahel. Però, è anche vero che attraverso l’“industria”
dei sequestri e dei riscatti, l’Occidente ha – suo malgrado – dotato di mezzi finanziari
piuttosto notevoli i gruppi terroristici.
D. – Possiamo dunque parlare di una
recrudescenza di terrorismo legato all’estremismo di matrice islamica nell’area, o
si tratta di un episodio isolato?
R. – Già dall’inizio degli anni Duemila c’era
un nucleo risoluto del terrorismo islamico che era passato dall’Algeria nella zona
a sud dell’Algeria, sia nel Sahara algerino che nel Sahara del Mali e del Niger che
è meno, o comunque più difficilmente, controllabile. Qui ha prosperato, in questi
anni, grazie anche al supporto delle reti di contrabbando, dei contrabbandieri che
trafficano droga, esseri umani e anche armi. La novità è che con l’implosione dello
Stato del Mali, nel Nord del Paese, è venuta meno qualsiasi forma di controllo in
quell’area strategica che s’incunea tra l’Algeria, la Mauritania, il Niger e poi,
naturalmente, tutto il resto del Sahara e del Sahel. E quindi in questi mesi, dal
colpo di Stato nel Mali, i gruppi hanno potuto richiamare forze nuove provenienti
dalla Libia, dove sappiamo che c’erano truppe addestrate da Gheddafi in funzione della
destabilizzazione dei Paesi vicini. E tutta questa miscela ha creato questa capacità
d’impatto formidabile, i cui risultati li abbiamo sotto gli occhi in questi giorni.