2013-01-21 11:57:40

Presepi distrutti. Don Mirilli: non è solo disagio giovanile, sfida per Chiesa e famiglie


Sono centinaia i presepi distrutti e vandalizzati nelle scorse settimane in Italia, soprattutto da parte di adolescenti. La notizia a cui ha dato risalto il settimanale del Corriere della Sera, “Sette” è il sintomo di un profondo disagio giovanile. Ma non solo. Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di don Maurizio Mirilli, direttore della Pastorale Giovanile del Vicariato di Roma:RealAudioMP3

R. - Mi conferma, nelle mie convinzioni, della mala-educazione: non è solo una questione formale di dire parolacce, o non dirle, ma dell’assenza - purtroppo - di un’educazione non solo al rispetto civile, delle regole, ma anche un’assenza di educazione verso i valori religiosi. Questi ragazzi, molto spesso, vivono proprio l’assenza educativa, perché magari c’è l’assenza soprattutto paterna, del padre terreno e, ovviamente, a maggior ragione l’assenza del Padre celeste, perché non sono abituati a confrontarsi con il calore familiare. In fondo cos’è il presepe, se non ciò che ci fa vivere quel calore familiare, di un Dio che si fa vicino, che ci viene incontro, che si fa bambino? Tutto questo, evidentemente, in questi ragazzi, in questi giovani non c’è, non è un’esperienza che loro vivono.

D. - Qui colpisce proprio questo: non sono stati vandalizzati alberi di Natale, ma le statue del presepe e in particolare proprio il Bambino Gesù. Si sente l’assenza del padre nel distruggere un bambino, un figlio…

R. - L’assenza del padre e l’assenza anche della sacralità: quando non c’è un padre che ti accompagna, evidentemente non c’è nemmeno l’idea di che cosa ci sia di sacro nella vita. Considerano la loro stessa vita poco sacra - anzi forse per niente - e si sentono rifiutati come bambini, come ragazzi, dalle loro famiglie. Allora, distruggere quel bambino è, secondo me, anche esprimere questo disagio e questi ragazzi non sanno che - e secondo me andrebbero educati in questo senso - sono accolti, c’è un Padre celeste che li accoglie, che si è fatto bambino proprio per accoglierli. Loro forse non riescono a comprenderlo perché non c’è nessuno che glielo spiega.

D. - Questa è dunque una grande sfida per la Chiesa e in particolare per chi, come lei, è impegnato nella pastorale giovanile...

R. - E’ una sfida, perché non ci possiamo più accontentare di stare solo con i nostri ragazzi della parrocchia… ce ne sono tantissimi altri che purtroppo si trovano in queste situazioni, che sono per strada e vanno a fare queste cose. Noi dobbiamo cercare di incontrare ed intercettare questi ragazzi, cercando di fargli capire che c’è una compagnia affidabile - come dice Papa Benedetto XVI - c’è la Chiesa, c’è una paternità che possono sperimentare, anche là dove la paternità biologica, quella fisica del loro papà non c’è. C’è un Padre celeste che si occupa di loro. Hanno bisogno di tanto amore e hanno bisogno, secondo me, di vedere qualche adulto - a maggior ragione noi sacerdoti, educatori - che si spende per loro.







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