Mons. Pasini: “La grammatica della carità” interpella l’amore di Dio verso i poveri
“La grammatica della carità” è il titolo del libro di mons.Giuseppe Pasini,
pubblicato in occasione dell’80.mo compleanno di questo sacerdote, tra i fondatori
e poi direttore per dieci anni della Caritas Italiana. Il volume, presentato ieri
a Roma, raccoglie gli editoriali di mons. Pasini usciti sulla rivista "Italia Caritas"
dal 1986 al 1996. Presenti all’incontro, assieme all’autore, mons. Giampietro Dal
Toso, segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum e Michel Roy, segretario
generale di Caritas Internationalis. Il servizio di Roberta Gisotti:
Dieci anni di
scritti, ispirati dall’attività sociale ed ecclesiale non solo italiana, ma aperta
ai grandi temi che attraversano il mondo intero. Il volume offre uno spaccato originale
del pensiero caritativo che evolve dall’assistenza alla condivisione, come spiega
mons. Giuseppe Pasini:
R. – Credo che la base sia l’intuizione che ha
dato a noi Paolo VI, che consideriamo il fondatore della Caritas italiana: lui l’ha
voluta tenacemente. La carità non è un problema di qualche gruppo di volontari o di
persone solidali, ma è un problema radicale della Chiesa come tale. Cioè, la Chiesa
non è Chiesa se non è testimone dell’amore di Dio verso i poveri. Allora, Paolo VI
ha sciolto la Pontificia Opera dell’assistenza e ha chiesto ai vescovi italiani di
creare la Caritas come organismo promotore delle Caritas in tutte le diocesi e possibilmente
in tutte le parrocchie. Cioè, farsi carico in prima persona, non delegare a qualcuno.
Portare avanti una cultura rinnovata ma evangelica di carità. E amore verso i poveri
non vuol dire semplicemente assistenza: c’è bisogno anche di questa, in alcuni momenti.
Ma vuol dire – dice il Concilio – aiutare i poveri ad uscire dallo stato di povertà
e di dipendenza per avere una loro autonomia, per recuperare la loro dignità e diventare
a loro volta soggetti nella società civile.
D. – Mons. Pasini, lei crede ci
sia il rischio che viene paventato di una assimilazione dell’azione caritativa della
Chiesa ad altre forme assistenziali, di aiuto allo sviluppo, di promozione umana?
R.
– Il rischio c’è e per questo ancora Paolo VI ha evidenziato che la funzione della
Caritas non è quella di creare opere, ma quella di educare la gente a capire che la
carità essenzialmente nasce dalla carità di Dio. E che quando noi parliamo anche di
forme promozionali facciamo riferimento necessario alla carità di Dio, che è carità
di liberazione: si è liberati dal peccato, ma Gesù ci ha liberati anche dalle malattie,
dall’insignificanza, dall’emarginazione… E quindi, può darsi che arriviamo agli stessi
effetti esterni, ma le radici che sostengono la carità della Chiesa sono radici evangeliche.
Ma che cosa distingue l’azione caritativa della Chiesa dall’azione solidale
di tanti altri organismi? Risponde il dr. Michel Roy:
R. – Sul terreno,
possiamo fare quasi le stesse cose, no? Infatti, non siamo gli unici ad amare i poveri.
Ma per quanto riguarda la visione della persona umana ci possono essere differenze.
Per noi, è centrale la natura completa della persona umana: non si può prendere in
conto solamente ciò che manca al povero, non solamente i suoi bisogni perché il povero
ha anche delle capacità, dei talenti donati da Dio e in questi è la soluzione ai suoi
problemi. Abbiamo una visione della persona e della comunità cristiana che può essere
diversa.
D. – Ci sono difficoltà nel rapportarsi nell’azione pratica con altri
organismi? R. – In linea di massima, no. Ma negli ambiti relativi alla vita, in
particolare, quando si entra nel campo della prevenzione dell’Aids, per esempio, un
campo nel quale la famiglia Caritas è molto impegnata, sì, qui ci sono delle differenze.
Ci confrontiamo anche sulla questione dell’aborto e su quella che passa sotto il nome
di "salute riproduttiva", che è un’espressione che nasconde aspetti con i quali non
siamo d’accordo. Ma è comunque importante la collaborazione che possiamo avere con
altre organizzazioni, per promuovere la nostra visione dell’uomo e della vita.