Israele oggi al voto. Sembra scontata la riconferma per Netanyahu
Oggi elezioni in Israele. Quasi sei milioni di elettori sono chiamati a rinnovare
la nuova Knesset composta da 120 deputati. Particolarmente frammentato il panorama
politico, ma sembra scontata la rielezione del premier, Nethanyahu, come scontata
appare una svolta ancora più verso destra del nuovo parlamento. Il servizio di Benedetta
Capelli:
L’apertura delle urne è prevista per le 7 di questa mattina e
fino alle 22 quasi sei milioni di cittadini israeliani, in oltre 10 mila seggi, potranno
esprimere il loro voto per la lista e non per i singoli candidati. Trentaquattro i
partiti in lizza, contro i 14 dell’ultima tornata elettorale: un incremento che è
il riflesso della frammentata realtà politica israeliana. Gli analisti sono tutti
concordi nel concedere la vittoria all’attuale premier Netanyahu, alleato del ministro
degli Esteri Lieberman che, secondo recenti sondaggi, dovrebbero ottenere oltre 30
seggi. All’interno della coalizione di centro-destra, il Labour ne dovrebbe conquistare
invece 18. La novità assoluta è rappresentata da Naftali Bennet, 40.enne uomo d’affari
e alfiere dei diritti dei coloni: a novembre ha vinto le primarie del partito "Bait
Yehudi". Bennetha condotto tutta la campagna elettorale ribadendo che
non c’è soluzione nel conflitto israelo-palestinese e che la creazione di uno Stato
palestinese si tradurrebbe in una seria minaccia per lo Stato ebraico. Guardando a
sinistra, il fronte appare molto segmentato. La leader laburista, Shelly Yachimovich,
che ha escluso qualsiasi alleanza con Netanyahu, avrebbe solo 16-17 seggi. Fallito
poi il tentativo di compattare lo schieramento da parte dell’ex ministro degli Esteri,
Tzipi Livni, un tempo popolare leader dei centristi Kadima, oggi alla guida di "Hatnua",
partito che dovrebbe raccogliere solo 7-8 seggi. Pochi di più ne dovrebbe conquistare
"Yesh Atid", fondato dall’ex anchorman televisivo, Yair Lapid, che ha
basato la sua campagna elettorale sulla difesa della laicità contro le richieste degli
ultraortodossi. A completare il quadro politico, vi sono anche i partiti ultraortodossi
"Shas" ed "Ebrei uniti nella Torah". Dopo il voto, il presidente Shimon Peres affiderà
l’incarico a chi ha ottenuto più voti. Entro 28 giorni – più altri 14 eventuali –
si dovrà formare il nuovo esecutivo solitamente frutto di accordi di coalizione perché,
dalla nascita di Israele, mai nessuna lista ha ottenuto la maggioranza assoluta.
Sul
voto di oggi, Benedetta Capelli ha raccolto l’opinione di Maria Grazia Enardu,
docente di Relazioni internazionali all’Università di Firenze:
R. – La vittoria
di Netanyahu è scontata. Quello che non è scontato è che sarà una piena vittoria,
cioè che il Likud assieme alla lista di Israel Beitenu raggiungano e superino la somma
dei due partiti, al momento. Questo non è scontato. Inoltre, va visto come sarà il
sorpasso a destra di un nuovo partito che da anni è sulla scena, ma che ora è completamente
rinnovato, cioè Bait Yehudi, guidato da un uomo giovane, energico, di grande carisma
che è Naftali Bennet e che ha condotto una campagna elettorale molto aggressiva. In
questo momento, il partitino di Bennet ha tre seggi: se li moltiplicasse, sarebbe
la misura della sconfitta di Netanyahu. D. – Secondo lei, Bennet sarà il successore
di Netanyahu e nello stesso tempo, con la sua battaglia per la questione dei territori
quanto consenso ha raccolto?
R. – Bennet è molto abile ed è molto intelligente.
In questo momento, lui sta cavalcando l’onda a spese della destra di Likud-Netanyahu.
Però, è anche capacissimo di spostarsi e al centro e successivamente di riprendersi
il Likud. Potrebbe domani essere il nuovo leader di Israele, con idee anche un pochino
diverse da quelle che dice di avere ora.
D. – Secondo lei, però, le idee che
invece sta proponendo in questa fase, non possono preoccupare una parte dell’opinione
pubblica, ma anche un po’ la comunità internazionale?
R. – Su questo non c’è
dubbio, perché Bennet in questo momento ha detto una cosa anche piuttosto grave, e
cioè che non c’è spazio per uno Stato palestinese dentro Israele. Però è anche vero
che nella storia della destra di Israele ci sono stati uomini che sono partiti con
dichiarazioni altrettanto dure e che poi hanno fatto cose diverse. Per certi versi,
l’eccezione è Netanyahu che, a parole, ha detto che avrebbe voluto riprendere il negoziato
di pace se Abu Mazen fosse stato credibile, poi nei fatti ha smantellato questa possibilità.
Bennet è giovane e spregiudicato: questo, paradossalmente, può essere domani un elemento
di rinnovamento.
D. – Quali sono, secondo lei, i temi più a cuore dell’opinione
pubblica israeliana? Lo Stato ebraico è sempre alle prese con una crisi economica
importante e poi c’è anche lo spettro dell’Iran…
R. – Ecco, di Iran in questa
campagna elettorale si è parlato molto meno di quanto non avesse fatto Netanyahu nei
mesi immediatamente precedenti. Che ci sia una crisi economica più o meno nascosta,
non ci sono dubbi. E' anche vero che lo sforzo di difesa di Israele costa una parte
di bilancio impressionante, come anche il sostegno dato agli insediamenti. Quindi,
questa crisi economica va affrontata: finora Netanyahu l’ha letteralmente messa sotto
il tappeto. L’opinione pubblica, inoltre, è preoccupata dal problema della sicurezza,
cioè della possibilità di avere uno Stato palestinese che non riesca in qualche modo
a controllare.
D. – In questo voto, secondo lei, c’entra – o c’entrerà – la
crisi che ci siamo lasciati alle spalle nella Striscia di Gaza?
R. – La Striscia
di Gaza è ormai praticamente tagliata fuori dal contesto israeliano, se non per quanto
riguarda la sicurezza, i razzi che piovono sul Sud di Israele e così via. Un avvio
del negoziato di pace dev’essere fatto con tutte e due le componenti: Hamas è al momento
apparentemente lontana, Abu Mazen è al momento terribilmente stanco di tentativi andati
a vuoto. Il nuovo governo, che sarà sicuramente a guida Netanyahu, potrebbe presentare
tesi ancora più oltranziste, per di più durante il periodo della seconda presidenza
Obama. Questo non smuoverà gli americani: gli americani non sembrano avere alcuna
intenzione di fare un serio sforzo di negoziato, perché sanno che non avrebbe risultati
a breve. Però, un governo Netanyahu duro che inglobi eventualmente anche ministri
di Naftali Bennet, sarebbe oggetto di una politica abbastanza rigida da parte dell’Europa
e di altri Paesi, che intendono spiegare a Israele che va ripreso un percorso di un
vero negoziato.
D. – Come potrà uscire la sinistra dal voto di domani?
R.
– La sinistra in Israele si misurerà guardando letteralmente i seggi di "Meretz",
che è l’unico partito di sinistra rimasto. In questo momento ha tre seggi, se ne avrà
qualcuno in più la sinistra si riprenderà; se non li avrà, rimarrà allo stato attuale,
cioè molto piccolo. I laburisti sono stati più volti definiti dalla leader Shelly
Yacimovich un partito di centro: i laburisti non sono più considerabili “sinistra”,
se non nel senso più generale del termine, e comunque non ideologico.