Il card. Ravasi sugli esercizi spirituali: ho scelto i Salmi perché in essi Dio e
l'uomo parlano insieme
Ho scelto il Libro dei Salmi perché in esso Dio e l’uomo sono in stretto dialogo.
Il cardinale Gianfranco Ravasi spiega così in sintesi l’ispirazione che ha
dato origine alle sue meditazioni, con le quali guiderà gli esercizi spirituali della
prossima Quaresima in Vaticano. Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura
li predicherà al Papa e alla Curia dal 17 al 23 febbraio, sul tema “Ars orandi,
ars credendi. Il volto di Dio e dell’uomo nella preghiera salmica”. Nell’intervista
di Fabio Colagrande, il porporato spiega come abbia accolto l’invito di Benedetto
XVI:
R. – Sicuramente,
l’impressione è sempre quella di emozione, un po’, anche se in verità devo dire che
per me l’aver pensato tra le tante strade possibili a un percorso sulla Parola di
Dio, sulla Bibbia rende questo impegno anche più sereno. Devo dire che durante gli
auguri che abbiamo rivolto al Papa – come Curia Romana – alle soglie del Natale, nell’incontrarmi
Benedetto XVI mi ha sollecitato quasi idealmente ad essere contento di compiere questo
atto anche perché – sono le sue parole – “sono curioso di vedere come lei svilupperà
un percorso abbastanza lungo che è fatto di ben 17 tappe”. E questa curiosità spirituale,
umana, culturale anche è in un certo senso qualcosa che può emozionarmi ma che dall’altra
parte suggerisce anche una sorta di dimensione di intimità. Questo dialogo viene fatto
all’interno di persone che lavorano, naturalmente, con il Santo Padre e che quindi
sono, in un certo senso, anche miei colleghi. E’ un’atmosfera, quindi, da un lato
emozionante ma anche, forse, familiare.
D. – “Ars orandi, ars credendi:
il volto di Dio e il volto dell’uomo nella preghiera salmica”: è il tema che lei ha
scelto per questi esercizi. Perché ha voluto concentrarsi proprio sui salmi?
R.
– Ho pensato a tante possibilità. Poi, ho pensato che proprio il Salterio avrebbe
potuto essere la rappresentazione perfetta del volto di Dio e del volto dell’uomo.
Dietrich Bonhöffer, il celebre teologo martire sotto il nazismo, ha una considerazione
molto curiosa a questo riguardo. Dice: la Bibbia non è Parola di Dio? E come mai nella
Bibbia ci sono i salmi, che sono preghiere e quindi evidentemente parole dell’uomo?
Proprio per dimostrare che la rivelazione di Dio non è un soliloquio solitario di
Dio nel suo orizzonte dorato, ma è un dialogo e nel dialogo ci dev’essere anche la
risposta. E la risposta è, forse, proprio quella che Dio si attende da noi, perché
ha messo il sigillo della sua ispirazione. Ecco, per questo motivo – direi – ho scelto
per l’Anno della Fede, per parlare della fede, proprio un libro in cui della fede
parla Dio, e al tempo stesso anche per l’uomo, che reagisce e risponde con la sua
fede.
D. – Lei, però, introdurrà questi suoi esercizi sul Salterio con una
riflessione sui verbi della preghiera: respirare, pensare, lottare, amare. Perché
questa introduzione?
R. – Questa introduzione evidentemente è anche un po’
quasi provocatoria, perché di solito i verbi della preghiera che si usano sono – appunto
– orare, lodare, invocare, supplicare… Mentre l’anima profonda della preghiera è molto
più complessa, è, prima di tutto, certamente respirare: il respiro dell’anima. Lo
afferma già Kirkegaard, il filosofo danese, il quale dice: ma perché noi respiriamo?
Perché altrimenti non vivremmo. Ecco, lo stesso vale per la preghiera: è come il respiro
dell’anima. Non dimentichiamo mai che proprio nel Salterio, ma proprio nell’esperienza
di tutte le grandi culture religiose, c’è una dimensione fisica, corporale del pregare.
Poi, pensiamo che cosa significhi per esempio anche il mistero di Dio: qualche volta
è una lotta. Noi tutti ricordiamo la celebre lotta che Giacobbe stabilisce con Dio,
l’Essere misterioso, lungo il fiume Iabbok, in quella notte. Ebbene, Osea dice che
in quella notte, quella scena era la preghiera “invocare pietà”, la preghiera di Giacobbe.
Quindi, qualche volte il cercare il mistero – pensiamo alle domande: “Fino a quando,
Signore, te ne stai a guardare inerte?” (Salmo 13). Per quattro volte urla questo
grido. E possiamo nella stessa maniera riferirci anche al pensare, perché –
diceva Wittgenstein, un filosofo – “pregare è pensare al senso della vita”. E, con
un gioco di parole in tedesco, un altro filosofo lontano da questioni strettamente
religiose, come Heidegger, diceva: “Denken ist danken”, pensare è ringraziare. Perché
è la grande scoperta che ti fa felice. Ecco perché allora la preghiera è anche pensiero.
E da ultimo, però, bisogna dire che è un incrocio di dialoghi, è un incontro. Di fatti,
l’elemento fondamentale è l’incontro e l’abbraccio. E io citerò anche qualche volta
testimonianze che non appartengono alla cultura solo religiosa nostra. C’è una bellissima
espressione di una mistica musulmana dell’VIII secolo – Rabia – la quale, sotto il
cielo stellato di Bassora, la sua città in Iraq, dice: è sera. Sta scendendo la notte.
Le stelle brillano in cielo. Ogni innamorato è con la sua amata e io sono qui, sola
con Te, o Signore. Cioè, il linguaggio d’amore e il linguaggio della mistica.