Gli immigrati piccoli imprenditori, scelte per sfidare precarietà e crisi
4,2 milioni sono il totale degli stranieri in Italia nel 2011, secondo l’Istat. E
più di 314 mila sono quelli che decidono di aprire un negozio o una partita iva per
mettersi in proprio e sfidare così la perdita di lavoro. Ma con la crisi economica
molti di loro non ce la fanno più e decidono così di tornare nel Paese d’origine o
emigrare in Europa del nord: sono 800 mila, secondo l’Istituto di statistica, in testa
romeni e cinesi. MariaCristina Montagnaro ha parlato di questo nuovo
fenomeno con José Luis Rhy-Sausi, direttore del Cespi, il Centro studi di politica
internazionale:
R. - Penso si
tratti effettivamente di due fenomeni. Da una parte, certamente, c’è l’impatto della
crisi, come del resto per tutti i piccoli imprenditori in Italia e in molti Paesi
europei. Ma, dall’altra, va considerato anche l’attrattiva che alcuni di questi Paesi
di origine del migrante stanno mostrando per favorire investimenti, per favorire iniziative
di tipo economico. E va considerato che anche in alcuni casi, in alcuni Paesi di origine
del migrante, esistono opportunità dove l’investimento è più fruttifero.
D.
- Quali sono i settori trainanti dell’imprenditoria immigrata?
R. - Fondamentalmente,
il commercio. Poi, l’imprenditoria è molto forte anche nel settore dell’edilizia.
In misura molto minore, questa l’imprenditoria è però pure presente nel settore manifatturiero
e altri servizi, come nel commercio alimentare, nella ristorazione, nei call-center
e in altri servizi di questo tipo.
D . – Qual è la dimensione del fenomeno
dell’imprenditoria migrante femminile?
R. – Circa un terzo delle imprese è
al femminile. E’ molto forte e soprattutto è in aumento. Il caso più frequente è quello
di donne che lavoravano nell’assistenza alle persone e che poi decidono di lavorare
in proprio. Quindi, i settori sono comunque il commercio e i servizi alla persona,
resi a livello imprenditoriale e non a livello di dipendenza.