2013-01-19 14:42:04

Mons. Toso: il cammino della pace a cinquant’anni dalla "Pacem in terris"


“Bisogna riconoscere che nella Pacem in terris si trova l’elenco più completo dei diritti e dei doveri delle varie encicliche sociali. Ciò che è stato recepito dal magistero sociale successivo è la loro impostazione teologica e antropologica”. E’ l’inizio della riflessione che mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha offerto questa mattina a Bologna a quanti hanno partecipato all’incontro su “La pace oggi, a 50 anni dalla Pacem in terris”. All’evento che ha aperto la scuola sociopolitica diocesana c’era per noi Luca Tentori:RealAudioMP3

Compie mezzo secolo di vita l’Enciclica di Giovanni XXIII, ma quel 1963 sembra lontano anni luce. L’Unione Sovietica non esiste più, l’America è un altro Paese e parlare di Terzo mondo non ha più senso. A cambiare non è stata solo la geografia, ma anche l’economia, la finanza e l’ordine mondiale. A cinquant’anni da quel messaggio di pace al mondo, mons. Toso, cosa è rimasto delle intuizioni e delle speranze di Giovanni XXIII?

R. – Molto. Innanzitutto, l’affermazione che pilastro fondamentale della convivenza sociale è la persona e non gli Stati, non le etnie, non le religioni, non le ideologie, non l’ordinamento giuridico, per quanto importanti essi siano. E poi va tenuto presente che per Giovanni XXIII la pace è frutto di un impegno corale e comunitario dell’umanità, che non emargina Dio ma, invece, costruisce un ordine sociale più giusto e più pacifico in comunione con Lui.

D. – Il giudizio sulla guerra della Pacem in terris è ancora attuale?

R. – Rimane sempre inquietante e provocante la netta affermazione di Giovanni XXIII secondo la quale la guerra, nel nostro tempo, non possa essere pensata e utilizzata come strumento di giustizia. Una tale affermazione rappresenta uno spartiacque che sospinge ad abbandonare la teoria della “guerra giusta”, con l’eccezione della guerra – preciserà la riflessione successiva – di pura difesa in presenza di un’aggressione in atto.

D. – Che rapporto c’è tra sviluppo, crisi alimentare e pace?

R. – Lo sviluppo integrale e sostenibile di tutti gli Stati, di tutte le persone e di tutta la persona è un obiettivo fondamentale e una priorità assoluta. Finché lo sviluppo rimarrà insoddisfacente, persisterà la fame e non ci sarà la pace sulla terra.

D. – Uno dei cambiamenti più importati è stato quello della globalizzazione con le sue conquiste e le sue sfide. Qualche seme di questo era già stato colto da Giovanni XXIII?

R. – Per Giovanni XXIII, la questione sociale appariva questione mondiale. Questa mostrava già chiaramente la sproporzione tra le esigenze obiettive del bene comune universale e le istituzioni allora esistenti sul piano internazionale. Il metodo della "lettura dei segni dei tempi" è lanciato proprio dalla Pacem in terris, a partire dalla consapevolezza che la realtà della pace è già seminata da Dio nel cuore e nelle aspirazioni umane.

D. – Il bene comune universale, secondo la Pacem in terris, doveva essere il criterio dei poteri pubblici mondiali. A che punto siamo di questo cammino?

R. – Nonostante gli aspetti positivi della globalizzazione, sembra che non si siano ancora trovate vie efficaci per giungere alla riforma delle attuali istituzioni internazionali. Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha soprattutto illustrato le ragioni del bene comune e della giustizia sociale, richiedenti una tale riforma, indicando la metodologia dei piccoli passi e lasciando ai responsabili dei popoli e ai giuristi il compito di precisarne le vie concrete.







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