Mons. Toso: il cammino della pace a cinquant’anni dalla "Pacem in terris"
“Bisogna riconoscere che nella Pacem in terris si trova l’elenco più completo
dei diritti e dei doveri delle varie encicliche sociali. Ciò che è stato recepito
dal magistero sociale successivo è la loro impostazione teologica e antropologica”.
E’ l’inizio della riflessione che mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio
Giustizia e Pace, ha offerto questa mattina a Bologna a quanti hanno partecipato all’incontro
su “La pace oggi, a 50 anni dalla Pacem in terris”. All’evento che ha aperto
la scuola sociopolitica diocesana c’era per noi Luca Tentori:
Compie mezzo
secolo di vita l’Enciclica di Giovanni XXIII, ma quel 1963 sembra lontano anni luce.
L’Unione Sovietica non esiste più, l’America è un altro Paese e parlare di Terzo mondo
non ha più senso. A cambiare non è stata solo la geografia, ma anche l’economia, la
finanza e l’ordine mondiale. A cinquant’anni da quel messaggio di pace al mondo, mons.
Toso, cosa è rimasto delle intuizioni e delle speranze di Giovanni XXIII?
R.
– Molto. Innanzitutto, l’affermazione che pilastro fondamentale della convivenza sociale
è la persona e non gli Stati, non le etnie, non le religioni, non le ideologie, non
l’ordinamento giuridico, per quanto importanti essi siano. E poi va tenuto presente
che per Giovanni XXIII la pace è frutto di un impegno corale e comunitario dell’umanità,
che non emargina Dio ma, invece, costruisce un ordine sociale più giusto e più pacifico
in comunione con Lui.
D. – Il giudizio sulla guerra della Pacem in terris
è ancora attuale?
R. – Rimane sempre inquietante e provocante la netta affermazione
di Giovanni XXIII secondo la quale la guerra, nel nostro tempo, non possa essere pensata
e utilizzata come strumento di giustizia. Una tale affermazione rappresenta uno spartiacque
che sospinge ad abbandonare la teoria della “guerra giusta”, con l’eccezione della
guerra – preciserà la riflessione successiva – di pura difesa in presenza di un’aggressione
in atto.
D. – Che rapporto c’è tra sviluppo, crisi alimentare e pace?
R.
– Lo sviluppo integrale e sostenibile di tutti gli Stati, di tutte le persone e di
tutta la persona è un obiettivo fondamentale e una priorità assoluta. Finché lo sviluppo
rimarrà insoddisfacente, persisterà la fame e non ci sarà la pace sulla terra.
D.
– Uno dei cambiamenti più importati è stato quello della globalizzazione con le sue
conquiste e le sue sfide. Qualche seme di questo era già stato colto da Giovanni XXIII?
R.
– Per Giovanni XXIII, la questione sociale appariva questione mondiale. Questa mostrava
già chiaramente la sproporzione tra le esigenze obiettive del bene comune universale
e le istituzioni allora esistenti sul piano internazionale. Il metodo della "lettura
dei segni dei tempi" è lanciato proprio dalla Pacem in terris, a partire dalla
consapevolezza che la realtà della pace è già seminata da Dio nel cuore e nelle aspirazioni
umane.
D. – Il bene comune universale, secondo la Pacem in terris, doveva
essere il criterio dei poteri pubblici mondiali. A che punto siamo di questo cammino?
R.
– Nonostante gli aspetti positivi della globalizzazione, sembra che non si siano ancora
trovate vie efficaci per giungere alla riforma delle attuali istituzioni internazionali.
Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha soprattutto illustrato le
ragioni del bene comune e della giustizia sociale, richiedenti una tale riforma, indicando
la metodologia dei piccoli passi e lasciando ai responsabili dei popoli e ai giuristi
il compito di precisarne le vie concrete.