Il cardinale Vegliò: un miliardo di migranti nel mondo, riconoscerne dignità e diritti
“Per la Chiesa cattolica, la migrazione è questione umana e morale fondamentale”:
così il cardinale Antonio Maria Vegliò è intervenuto, ieri a Parigi, all’incontro
su “I cattolici e le migrazioni”. Il presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale
dei migranti e degli itineranti ha ribadito, in particolare, l’importanza di guardare
alle migrazioni nell’ottica della conversione, della comunione e della solidarietà.
L’incontro è stato organizzato dal Centro di informazioni e studi sulle migrazioni
internazionali, dal Servizio nazionale della pastorale dei migranti e dalla diocesi
di Parigi. Il servizio di Isabella Piro:
Innanzitutto,
i dati: oggi, dice il cardinale Vegliò, il fenomeno migratorio “è impressionante”
in termini numerici. Secondo il Rapporto mondiale 2011 sulle migrazioni, redatto dall’Organizzazione
internazionale per le migrazioni, i migranti internazionali sono circa 214 milioni,
quelli nazionali quasi 740 milioni: in totale, un miliardo di persone, pari ad un
settimo della popolazione mondiale. Il che significa, come afferma il porporato, che
“la mobilità umana è divenuta una caratteristica strutturale del mondo moderno”.
Ma
in questo contesto, chiede il cardinale Vegliò, qual è il ruolo della Chiesa? La risposta
è semplice: “la Chiesa si preoccupa della salvezza dell’umanità” e di conseguenza
“per la Chiesa cattolica la migrazione non è solo un problema politico, ma una questione
umana e morale fondamentale”, perché "i migranti non sono solo numeri per la Chiesa,
ma nostri fratelli e sorelle, il nostro prossimo”. Ed “essere il nostro prossimo
- continua il porporato - non dipende dal luogo di nascita del migrante né dai documenti
che possiede”. "La fede cristiana - ribadisce il cardinale - chiede ai credenti di
non considerare gli immigrati come delle merci, ma come degli esseri umani che hanno
diritto a una considerazione complessiva dei loro bisogni e dei loro contributi specifici
ed economici, sociali e culturali".
In questo dibattito, “la Chiesa contribuisce
con la sua fede e i suoi principi morali” ed il suo ruolo si basa “sul rispetto della
dignità della persona umana”. In un’ottica di comunione, il porporato richiama quindi
“un sistema migratorio giusto che permetta ai migranti di realizzare le loro aspirazioni
fondamentali e servire il bene comune”. “I processi di integrazione – evidenzia ancora
il porporato – non richiedono solo opportunità politiche, sociali ed economiche, ma
anche la costruzione di un senso di comunità, di valori condivisi, di una comunione
tra fratelli”.
Di qui, nell’ottica della solidarietà, l’invito a “sviluppare
una cultura dell’accoglienza globale”, “dell’integrazione autentica” e l’appello a
proteggere – secondo “la fede, incontro con il Cristo vivente” – “la giustizia, la
dignità umana e la solidarietà”. Anche perché, incalza il porporato, “per la Chiesa,
i diritti umani sono radicati nella persona” e questo è “un approccio che si differenzia
radicalmente dalle moderne correnti di pensiero, per le quali i diritti dell’uomo
sono concepiti in termini di opinione pubblica o di riconoscimento legale”. Essere
solidali, allora, significa “promuovere il riconoscimento effettivo dei diritti dei
migranti e superare tutte le discriminazioni basate sull’etnia, la cultura e la religione”.
Come
un “avvocato risoluto e attento”, continua il cardinale Vegliò, la Chiesa è chiamata
a difendere il diritto delle persone “a spostarsi liberamente all’interno del proprio
Paese” o a lasciarlo a causa “della povertà, dell’insicurezza e delle persecuzioni”,
nel pieno diritto di “vivere con dignità”. Non solo: la Chiesa ha anche “la responsabilità
di fare in modo che l’opinione pubblica sia correttamente informata sulle cause che
generano le migrazioni”; essa, inoltre, deve “opporsi al razzismo, alla discriminazione
e alla xenofobia, ovunque si manifestino”.
Infine, nell’ottica della conversione,
il cardinale Vegliò ricorda che oggi le migrazioni non riguardano solo i cattolici:
ci sono immigrati che provengono da Paesi di altra o di nessuna fede e ci sono emigrati
cristiani che vanno in Paesi di tradizione diversa. Ed è per questo che il fenomeno
migratorio deve essere visto come un’opportunità non solo di evangelizzazione, ma
anche di nuova evangelizzazione nei confronti di coloro che “hanno perduto il senso
vivo del cristianesimo”. Perché i migranti, conclude il porporato, sono “i protagonisti
della proclamazione del Vangelo nel mondo moderno”, “il lievito nel pane della cultura
e della società contemporanea”.