Potrebbe riprendere in mattinata l’imponente operazione militare delle forze algerine
contro il gruppo di terroristi, asserragliato, con un gruppo di ostaggi, nell’impianto
petrolifero di “In Amenas”, nel deserto dell’Algeria. Drammatico sinora il bilancio,
ancora provvisorio, del blitz, in cui sarebbero rimasti uccisi 35 ostaggi stranieri
e 15 rapitori legati ad Al Qaida. Sentiamo Amina Belkassem:
Un bilancio
non confermato e ancora parziale. L'esercito, hanno riferito in serata fonti ufficiali
algerine, ha ripreso il controllo soltanto di una parte del campo. Numerosi ostaggi
tra cui centinaia di lavoratori locali, 3 giapponesi e 1 irlandese, sono stati liberati
ma una quarantina di persone sarebbero ancora nelle mani dei jihadisti giunti molto
probabilmente dalla vicina Libia. Molti punti restano ancora da chiarire, quello che
e' certo e' che il pugno di ferro di Algeri che, secondo diverse fonti, avrebbe usato
anche elicotteri d'assalto, ha messo in subbuglio le cancellerie di tutti i Paesi
coinvolti. ''Non eravamo stati informati'', affermano Londra e Washington, ''mentre
Hollande aveva predetto una conclusione drammatica della situazione".
Perché
dunque, nonostante la prevedibile reazione internazionale, il governo algerino ha
deciso di condurre questa sanguinosa operazione? Francesca Sabatinelli lo ha
chiesto a Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa:
R. - Il
governo ha avuto il timore di essere ricattato sotto pressione dei governi dei rapiti
e quindi ha voluto fare una dimostrazione di forza, come del resto ha fatto in tutti
questi anni in cui il Paese è stato aggredito da gruppi terroristici. Ha sempre dato
una risposta militare laddove il gruppo di terroristi era stato localizzato ed identificato.
D.
- Molti mettono in relazione l’intervento della Francia in Mali con quello che è accaduto
in Algeria. Ci potrebbe essere un collegamento?
R. - L’intervento francese
in Mali può aver accelerato o aver messo in opera un piano che già doveva esistere.
Non si improvvisa così un’azione di quel tipo. Voglio però anche dire che, esattamente
nove anni fa, il gruppo fondamentalista che poi ha dato origine ad Al Qaeda nel Maghreb
cominciò con un sequestro di massa di turisti e personale occidentale che poi via
via vennero rilasciati. Quindi i gruppi che si ricollegano a questa fattispecie non
sono nuovi a rapimenti di massa.
D. - Che tipo di reazione potrebbe esserci
ora da parte di questi gruppi jihadisti?
R. - Naturalmente continueranno, anche
perché il colpo inferto dall’attacco algerino non è certamente decisivo come non lo
è stato l’inizio dell’intervento francese. È la prima volta che noi abbiamo un intervento
militare, occidentale nella regione così evidente. Noi non sappiamo come cambierà
anche l’atteggiamento della popolazione locale. Fino ad ora i terroristi non hanno
goduto di complicità locali. Che cosa potrà generare un attacco di questo genere?
É un interrogativo che i governi si devono porre.