Usa: giro di vite di Obama sul possesso di armi. E’ scontro frontale con le lobby
del settore
E' durissimo il giro di vite sul controllo e la vendita delle armi da fuoco voluto
dal presidente Obama. Un piano, il suo, che non delude le attese e che prevede innanzitutto
il bando delle armi da guerra, come uil fucile che nella scuola elementare di Newtown
ha ucciso 20 bambini. Ma la battaglia del presidente è tutt’altro che vinta. Da Washington,
ci riferisce Francesca Baronio:
Dalla Casa Bianca
il Presidente degli Stati Uniti firma 23 decreti e un impegno da 500 milioni di dollari.
Il cuore delle riforme sta nel bando sulle armi automatiche e i caricatori di proiettili
di grande portata, ma anche nell'obbligo di controlli sull'identità e i precedenti
degli acquirenti. Alcune misure sono immediatamente esecutive, altre richiederanno
il sì del Congresso. In particolare, proprio il bando alle armi automatiche. Ma gia’
molti Stati si ribellano. Il Governatore del Missipi ha chiesto ai suoi avvocati di
verificare la leggittimita’ dei decreti. E cosi’ faranno anche I Governatori del Texas,
South Dakota e Whyoming. Insomma, quella che si profila al Congresso e’ una battaglia
durissima con gran parte dei Repubblicani decisi a difendere il secondo emendamento
quello che legittima la proprieta’ delle armi, e la NRA, la potente lobby delle armi,
decisa a usare tutto il suo potere e i suoi soldi per quella che definisce la battaglia
del secolo.
Per un commento sull'iniziativa di Obama, Massimiliano Menichetti
ha intervistato Gregory Alegi, docente di Storia e istituzioni dell’America
del Nord, alla Luiss di Roma:
R. – Lo Stato
di New York è ormai da molti anni su posizioni più restrittive rispetto al resto degli
Stati Uniti. Se guardiamo il contenuto di queste norme, sono quelle che da un punto
di vista europeo definiremmo di buon senso, perché evidentemente c’è una differenza
tra il possesso di armi da difesa personale – le pistole – e le armi d’assalto con
caricatori ad alta capacità, che a noi sembrano difficili da giustificare. Diciamo
che la decisione di New York non sorprende né rispetto alla tradizione dello Stato,
che da almeno 20 anni è su una strada di restrizione del possesso delle armi, né in
termini di contenuti, perché è stato fatto un provvedimento ad armi che il cittadino
non ha nessun bisogno di possedere.
D. – La proposta del presidente Barack
Obama, restrittiva, incontra il “no” della cosiddetta lobby delle armi, che annuncia
battaglia in Parlamento. In America, c’è consapevolezza di voler cambiare qualcosa
che è stato così fino adesso, oppure si sta ragionando sulla scia emotiva di quanto
accaduto a Newtown.
R. – Indubbiamente l’emozione, lo shock di Newtown gioca
un ruolo importante. Sotto altri aspetti, si tratta in realtà di un ritorno al passato.
Ricordiamoci che fino al 2004 era in vigore una limitazione sulle armi d’assalto che,
scaduto il termine, non è stata rinnovata. Le limitazioni c’erano e in larga parte
si tratterebbe di ripristinarle. Da un punto di vista politico, la difficoltà che
incontra il presidente Obama è quella di un presidente che non ha la maggioranza parlamentare.
Il partito democratico, tendenzialmente più favorevole ad una qualche forma di controllo,
ha la maggioranza solo in Senato, mentre la Camera è repubblicana e due terzi dei
deputati, nel complesso, ha ricevuto l’endorsement, l’approvazione massima, il voto
A, dalla "National Right of Association" (Nra), quindi dalla lobby dei proprietari
di armi. Questo ci fa capire che quali che siano le limitazioni che Obama intende
proporre al Paese, la difficoltà sarà farle approvare soprattutto dalla Camera. Se
passano la Camera, il Senato non avrà alcun problema a ratificarle. Tanto che sui
giornali americani si specula sul fatto che il presidente possa sottoporre il disegno
di legge prima al Senato, dove incontrerebbe minori difficoltà, in modo da mettere
la Camera spalle al muro e mettere i repubblicani nel ruolo dei cattivi. Anche perché
il presidente sa bene che nei sondaggi una maggioranza, sia pur non enorme, dei cittadini,
dopo Newtown, è sfavorevole a restrizioni.
D. – Secondo alcuni osservatori,
questa azione diretta di Obama, in un certo qual modo, andrebbe a comprimere un Congresso
già indebolito...
R. – Indubbiamente, negli Stati Uniti la tendenza degli ultimi
15 anni è quella di una cattiva immagine della politica, per motivi diversi, ma con
risultati sostanzialmente non diversi da quelli che vediamo anche noi in Italia. Quindi,
il tentativo di caratterizzare soprattutto la Camera come forza contraria agli interessi
profondi del Paese è una strategia che potrebbe funzionare e se funzionasse darebbe
a Obama una carta in più per il resto del suo mandato. Attualmente, tutti i provvedimenti
più ampi, più riformatori, più innovatori di Obama si scontrano con una Camera sostanzialmente
contraria.
D. – Per capire il volto del popolo statunitense, la domanda per
un europeo può essere: come sia possibile che armi d’assalto siano vendibili, comprabili,
cedibili...
R. – C’è un emendamento alla Costituzione che tutela il diritto
di possedere e portare armi. Questo è un emendamento nato subito dopo la ratifica,
quindi alla fine del ‘700, ed era legato al fatto che i coloni americani erano contrari
agli eserciti permanenti. Avendo visto un esercito, quello del re inglese, come oppressore,
non volevano che la nuova Repubblica potesse dotarsi di un esercito come polizia interna.
Quindi, la soluzione è: la milizia saremo noi, pronti a intervenire a difendere la
libertà, l’indipendenza, se ce ne fosse bisogno. E’ evidente a tutti che negli ultimi
220 anni lo scenario è profondamente cambiato. Questa tutela costituzionale, quindi,
del diritto di portare armi, per quanto faccia parte della storia stessa della nazione,
deve necessariamente essere rivista alla luce della realtà odierna. In una società
come quella di oggi, l’arma d’assalto non si giustifica.
D. – Il popolo americano,
secondo lei, è consapevole di un passaggio anche istituzionale profondo che si andrebbe
a compiere?
R. – Sì e no, perché la geografia politica degli Stati Uniti è
molto diversa da quella alla quale noi siamo abituati a pensare. L’America libera,
progressista, della traiettoria roosveltiana, kennedyana, che ha affascinato tanto
l’Europa, è ormai soltanto un ricordo. Sono almeno 30 anni che c’è questa inversione
di polarità, a favore di un conservatorismo e di una chiusura, che indubbiamente hanno
cambiato molti atteggiamenti. Basti pensare che l’Nra, appunto l’associazione dei
proprietari di armi, ha detto che la soluzione alla strage era quella di armare i
docenti. Questa è una cosa che in Europa nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di
pensare, prima ancora di dire.
D. – L’utilizzo, il possesso di così tante armi
negli Stati Uniti, è anche espressione di un forte disagio, che invece chiamerebbe
in causa il rafforzarsi di alcune politiche sociali, sanitarie a favore del cittadino...
R.
– Da un punto di vista europeo, credo non si possa sfuggire a questa sua conclusione.
La difficoltà è proprio quella di immergersi nel clima degli Stati Uniti di oggi,
dove questi temi non sono sentiti come molto forti. Possiamo vederci un po’ tutte
le contraddizioni dell’America di oggi, che si rende conto, perché lo sperimenta,
perché lo vive, dell’utilità di certe soluzioni, ma quando poi vengono prospettate
tende invece a richiudersi e a rifiutarle.
D. – Ma il perché di questa contraddizione
qual è?
R. – C’è un ritorno a quella che era una matrice iniziale, chiamiamo
una lettura errata della sussidiarietà. Mi fido della mia comunità, di quello che
mi è vicino, di quello che conosco, e invece non ho alcuna fiducia in ciò che è lontano
da me, come un governo centrale. Questa potrebbe essere una lettura, un richiudersi
nella propria piccola comunità.