La famiglia fondata sul matrimonio al centro della Giornata del dialogo ebraico-cattolico
E' stata celebrata ieri in tutt’Italia la 24.ma Giornata per l'approfondimento e lo
sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei dedicata quest’anno a una riflessione
sulla ‘settima’ delle ‘Dieci parole’, secondo il computo ebraico: ‘Non commettere
adulterio’. Nel sussidio preparato per l’evento il vescovo di Pistoia, Mansueto
Bianchi, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo,
e il rabbino Elia Enrico Richetti, presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia,
invitano a riflettere sul rapporto sponsale fra uomo e donna, inserito nell’istituto
familiare, come riflesso dell’alleanza tra uomo e Dio. Ascoltiamo mons. Bianchi, al
microfono di Fabio Colagrande:
R. – Nel vincolo
che lega l’uomo alla donna è riconoscibile quella che potremmo chiamare la struttura
naturale di questo rapporto ma anche, insieme, la rivelazione del volto e della santità
di Dio per l’uomo, che è data nel vincolo dell’Alleanza e si realizza in una sua forma
alta nell’alleanza nuziale tra l’uomo e la donna. Ritengo anche che questo impegno
a riconoscere e a promuovere l’attenzione verso il vincolo nuziale nel nostro tempo
ci aiuti e ci impegni, in un certo senso, ad opporci a quella banalizzazione e a quel
qualunquismo che si stanno un po’ addensando intorno all’amore nuziale, intorno allo
statuto familiare, così caratteristici di certe stratificazioni della cultura del
nostro tempo.
D. - La famiglia fondata sul matrimonio è in pericolo, secondo
lei?
R. - Ritengo che sia minacciata dalla cultura attuale perché la struttura
familiare viene svuotata dei suoi contenuti specifici e riempita di una tipologia
di altri rapporti, di altre convivenze, che non hanno molto a che fare con il progetto
di Dio sulla famiglia umana così come si rivela nella struttura delle persone e anche
come si rivela nella Rivelazione biblica.
D. – Vogliamo ricordare che esiste
un documento della Pontificia commissione biblica, che porta la firma dell’allora
cardinale Ratzinger, del 2001, che ci chiede un impegno costante di rilettura dell’ebraismo
e della sua tradizione esegetica. Questo è un impegno che a volte si dimentica un
po’…
R. – Questo è verissimo ed è un documento prezioso perché non solo indica
punti stabili di affidamento e realizzazione ma anche perché chiama a cambiare un
atteggiamento mentale tante volte soggiacente nelle persone, cioè quello di pensare
all’ebraismo come ad un evento del passato mentre il documento evidenzia con molta
chiarezza come le Scritture, anche nella fase della prima Alleanza, sono la radice
della nostra identità, e che noi stessi non riusciremmo a riconoscerci, secondo la
nostra specificità cristiana, prescindendo da quelle Scritture che ci rendono fratelli
dell’ebraismo. Ma poi, ancora, ci aiuta a capire che l’ebraismo è un filone ricchissimo
che si snoda in sintonia col cammino della storia ed è una tradizione ricchissima
di spiritualità, di cultura, di esperienza liturgica, che in questo senso accompagna
certamente il cammino dell’Italia ma ancora più ampiamente il cammino dell’Europa,
il cammino dell’umanità.
Nella riflessione sul "settimo comandamento",
al centro di questa giornata del dialogo fra cattolici ed ebrei, entra anche il concetto
di ‘santificazione’ della vita matrimoniale, 'Kedushà' in ebraico. Ascoltiamo il rabbino
Elia Enrico Richetti, sempre al microfono di Fabio Colagrande:
R. - Il concetto
ebraico di kedushà ha a che fare con il portare i momenti della vita quotidiana
e naturale della persona, ad un livello di consapevolezza superiore, quindi al livello
di rendersi come ogni cosa è voluta da Dio in un certo modo. La santificazione della
vita matrimoniale consiste proprio nel non viver questa vita come un fatto puramente
fisico, ma come un momento di un disegno maggiore che serve a mantenere in vita l’universo.
D.
- Da questo comandamento possiamo trarre anche un importante insegnamento per quanto
riguarda il ruolo della famiglia nella società…
R. - Certamente. Proprio perché
nell’ottica della tradizione ebraica la famiglia è il primo nucleo della società.
La società è vista in quanto esiste qualcuno che porta avanti l’esistenza umana, cioè
la coppia.
D. - Dal punto di vista proprio dell’opinione pubblica della cultura
attuale, lei vede che il modello di famiglia - quello appunto fondato dal matrimonio
tra un uomo e una donna - è in qualche modo in pericolo in questo momento?
R.
- Diciamo che c’è una parte della società umana che rischia di dimenticarsi che la
società nasce attraverso l’unione di un uomo e di una donna. Non penso che ci sia
un rischio che ciò venga a cessare. So che i matrimoni diminuiscono, ma non cesseranno
mai, grazie a Dio, perché esiste sempre qualcuno che sente in sé questa necessità
cosmica della verità.
D. - Nel sussidio per questa Giornata del dialogo voi
scrivete parole molto forti: uno dei problemi del dialogo ebraico - cristiano è l’oggi,
cioè la consapevolezza, da parte cristiana, che l’ebraismo non è finito...
R.
- Al giorno d’oggi abbiamo molti segnali che indicano che ci sono ancora molte sacche
di odio, di contrapposizione nei confronti del modo ebraico. Io credo che soltanto
la conoscenza e il dialogo possono far conoscere la realtà, e quindi contribuire a
far cessare l’odio, perché l’odio è figlio dell’ignoranza.
D. - Con quale atteggiamento
vivere questa 24.ma Giornata per il dialogo tra cattolici ed ebrei?
R. - Direi
che se la giornata deve essere veramente uno spunto per questo incontro, per questa
conoscenza, per porre queste basi e per il comune sentire, il mondo cristiano troverà
sempre disponibilità totale da parte dei rabbini.