Siria: esercito e insorti si accusano delle esplosioni all'università di Aleppo
“Un vile atto terroristico”: così le Nazioni Unite hanno definito le due esplosioni
che ieri hanno colpito l’università di Aleppo, in Siria. Ultimo episodio di una lunga
giornata di violenza segnata anche da combattimenti ad Homs e in diversi sobborghi
di Damasco. Cresce intanto il numero dei profughi, oltre 600mila al momento, ma secondo
alcuni osservatori, tra qualche mese si arriverà ad un milione. Il servizio di Marina
Calculli:
Gli studenti
universitari di Aleppo che vanno a sostenere gli esami nel primo giorno della sessione,
non sembrano, almeno apparentemente, un bersaglio ambito. E se ci sia calcolo o un
tragico errore dietro la strage degli almeno 82 ragazzi morti ieri tra le aule investite
da un’esplosione è difficile dirlo. Fatto sta che nessuna delle due parti ha il coraggio
di assumersi la responsabilità. Secondo il regime è stato un attacco terrorista, secondo
i ribelli un raid aereo delle forze di Asad. Secondo alcuni testimoni la strage è
stata provocata da un missile terra-aria, fino ad ora uno strumento usato solo dai
ribelli. Subito dopo l’esplosione, la Russia ha annunciato la cessazione – almeno
temporanea – delle attività consolari nella città. Nel resto del paese, intanto, si
continua a combattere senza sosta. Oltre 200 persone sono morte ieri, una ventina
a Houla, mentre Homs e anche la periferia di Damasco sono sempre sotto le bombe del
regime. Ieri intanto il premier siriano Walid al-Halqi è volato a Teheran, dove sembra
debba incontrare l’ayatollah Khamenei.
E intanto arrivano le critiche della
Russia all’iniziativa, capeggiata dalla Svizzera, sottoscritta da 57 Paesi che al
Consiglio di Sicurezza dell'Onu chiedono di ricorrere alla Corte penale internazionale
per indagare sui crimini di guerra commessi in Siria. Un provvedimento sollecitato
da Amnesty International dall’aprile del 2011. Un rapporto ieri ha denunciato non
solo l’uccisione di tanti minori, ma anche lo stupro sistematico di donne. Roberta
Gisotti ha intervistato Riccardo Noury, portavoce dell’organizzazione umanitaria:
D. –
Che cosa si spera di ottenere con questa lettera?
R. – Di superare una paralisi
che ormai va avanti da quasi due anni all’interno del Consiglio di sicurezza. Non
soltanto comitati internazionali per i diritti umani e organizzazioni non governative
chiedono che si faccia qualcosa per porre fine all’impunità e ai crimini contro l’umanità,
ai crimini di guerra commessi in Siria: il fatto che ci siano ora 57 Stati membri
dell’Onu è un segnale importante. Potrebbe essere quello decisivo per avviare finalmente
un’indagine da parte del procuratore della Corte penale internazionale.
D.
– Intanto, la gente continua a morire in Siria. Un nuovo Rapporto, in questi giorni,
dell’organizzazione umanitaria Irc, "International Rescue Committee", denuncia non
solo l’uccisione di tanti minori, ma anche lo stupro sistematico di donne. Vi risulta
questo terribile fenomeno?
R. – Risulta difficile dire quanto sia pianificato,
sistematico e possa essere in qualche modo analogo ad altri casi drammatici del genere,
come accaduto in Bosnia e in Rwanda. Non credo siano a quei livelli. E’ certo che
anche nelle ricerche effettuate da Amnesty International ci sono stati casi - in particolare
nel contesto delle torture, all’interno delle carceri, e durante i raid a terra compiuti
dopo i bombardamenti aerei - di violenza e stupro nei confronti di civili, in particolare
donne, che sono stati confermati dai nostri ricercatori.
D. – Nella prassi
che cosa si può fare?
R. – Intanto, il Consiglio di icurezza dovrebbe togliere
quell’ombra di sospetto, un po’ più di un sospetto, che non abbia interesse o abbia
perso la volontà, semmai ce l’abbia avuta, di proteggere i civili in Siria. Amnesty
International continua a chiedere che ci sia il deferimento alla Corte penale internazionale
della Siria rispetto a tutte le parti sospettate di aver commesso i crimini di guerra
e i crimini contro l’umanità. Occorre che i Paesi, gli Stati membri delle Nazioni
Unite, esercitino la giurisdizione universale nei confronti di chiunque sia sospettato
di avere commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità, che si trovi nei loro
Paesi. E certamente, se c’è ancora un margine per una soluzione che non contempli
il ricorso alle armi, questa soluzione va esplorata fino in fondo. Resta comunque
il problema enorme di chi può sedersi intorno ad un tavolo, riconoscendo nell’altro
un interlocutore in un negoziato di pace, su questo potrebbe essere purtroppo troppo
tardi. Qualunque cosa accada, c’è una questione che Amnesty International ritiene
fondamentale: interrompere l’impunità. Non è possibile per il futuro della Siria che
quell’eredità di decenni di repressione vada avanti in maniera impunita.
D.
– Nel gruppo di Paesi firmatari è l’Italia, non ci sono Stati Uniti, Russia e Cina.
Come valutare queste assenze?
R. – E’ come se ci fosse un’altra stanza, un
altro luogo all’interno delle Nazioni Unite, in cui i grandi si riuniscono per fare
qualcosa che non è nient’altro che inconcludente retorica fino a oggi. Noi siamo passati
in questi due anni quasi dal "cento" – che era quello di minacciare la guerra, ogni
volta peraltro spostando in avanti la linea rossa, da non oltrepassare – allo "zero",
che è il veto posto da Russia e Cina, in particolare su ogni tentativo significativo
di fare una risoluzione da parte del Consiglio di sicurezza, che avesse a che fare
con i diritti umani. Quindi, l’idea che ci siano degli Stati membri che pungolano
le grandi potenze, le maggiori responsabili di questa retorica inconcludente, è un
fatto positivo. Preoccupa certo che poi risultino quasi i destinatari, come se ci
fossero due Nazioni Unite, di chi spinge per un intervento della Corte penale internazionale
e chi riceve questo invito.