Mali. Proseguono i bombardamenti francesi contro i ribelli che conquistano la città
di Konna
Crisi in Mali i ribelli jihadisti controllano la città di Konna ed hanno tagliato
i collegamenti a Gao. Proseguono i bombardamenti francesi sulla città di Diabaly,
anche questa in mano agli islamisti, mentre ieri l’esecutivo parigino ha confermato
che il contingente in Mali salirà progressivamente fino a 2500 militari. Giulio
Albanese:
Il dato
preoccupante, sotto il profilo militare, è la complessità dello scenario maliano.
Perché se è vero che, da una parte, i raid aerei francesi hanno costretto alla ritirata
i ribelli jihadisti nell’Azawad, dall’altra, questi ultimi hanno organizzato una controffensiva,
conquistando lunedì la piccola città di Diabaly, a circa 400 chilometri da Bamako:
ed è proprio lì che, oggi, i francesi potrebbero ingaggiare il primo scontro diretto
con i ribelli. Nel pomeriggio di ieri, infatti, centinaia di militari francesi sono
partiti alla volta della cittadina, affiancati da reparti dell’esercito regolare maliano.
Adesso si attende il dispiegamento sul campo delle truppe africane dell’Ecowas/Cedeao
(Comunità Economica dei Paesi dell’Africa Occidentale). La Francia e gli altri Paesi
del Consiglio di Sicurezza chiedono di fare in fretta nel dispiegamento della forza
di intervento sotto mandato Onu, composta da 3.300 uomini. Intanto ieri, intervenendo
sulla questione durante la sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo,
l’alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione Europea, Catherine Ashton,
ha detto che un’azione per arginare gli estremisti islamici è necessaria: “non farlo
sarebbe un grave errore politico, strategico e umanitario”. La signora Ashton ha pertanto
convocato per domani, giovedì, a Bruxelles un consiglio straordinario dei ministri
degli Esteri dell’Unione.
Per un’analisi su quanto sta accadendo in Mali, Massimiliano
Menichetti ha intervistato Arrigo Pallotti, docente di Storia e istituzioni
politiche dell’Africa contemporanea dell’Università di Bologna:
R. – Questo
scenario in Mali è una delle conseguenze della caduta del regime di Gheddafi in Libia.
In un contesto storico di forti tensioni tra il Nord e il Sud del Paese, nel momento
in cui gruppi armati di Tuareg, che avevano lavorato al soldo di Gheddafi, lasciano
la Libia e tornano in Mali, si scatena un conflitto. Il conflitto inizialmente ha
rivendicazioni indipendentiste, ma poi reti legate al terrorismo internazionale penetrano
questa ribellione e, di fatto, l’intero movimento assume toni molto più radicali,
quindi anche legati al terrorismo internazionale.
D. – Proprio su questo aspetto
del terrorismo internazionale, il segretario alla Difesa americano, Leon Panetta,
ha ribadito che queste operazioni sono cruciali, per impedire che Al Qaeda riesca
a stabilire basi da cui poter lanciare attacchi contro l’Europa e gli Stati Uniti…
R.
– Questa è la lettura prevalente in tutti gli ambienti diplomatici, non solo in Mali,
ma anche in altre parti dell’Africa – penso alla Somalia, al Corno d'Africa – dove
si annidano verosimilmente basi e attività del terrorismo internazionale. Il problema
di fondo, però, è capire come questo genere di attività potranno essere bloccate,
non semplicemente con un’azione militare, ma con una ricostruzione di più lungo periodo,
con lo sviluppo in queste regioni. D. – La presenza militare francese aumenterà
nel Paese fino ad arrivare a 2500 unità. Come giudicare questo intervento, peraltro
ben salutato dall’Onu? R. – C’è un consenso piuttosto ampio a livello internazionale
sul fatto che, a questo punto, fosse necessario intervenire militarmente. C’è stata
un’offensiva dei ribelli contro il governo, che quindi si è trovato davvero davanti
alla possibilità di cadere ed essere spazzato via. Non dimentichiamoci però che la
Francia è l’ex potenza coloniale di gran parte dell’Africa occidentale e che quindi
ha un interesse cocente a non lasciare che la situazione precipiti oltre una certa
misura, in uno dei Paesi del suo vecchio impero coloniale. Il problema, però, che
alcuni sollevano dal punto di vista africano è che un intervento militare, da una
parte, potrà stabilizzare la situazione, ma non risolverla. Non dimentichiamoci che
la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, con cui è stato legittimato questo intervento
chiedeva anche che venisse sostenuto il dialogo politico in Mali - e, dall’altra,
alcuni osservatori africani mettono in luce il fatto che si rafforza una visione strumentale
dell’Africa. Ovvero il pensiero è che si intervenga in Africa, perché l’Occidente
si sente minacciato e non perché ci sono preoccupazioni legate alla democrazia, alla
lotta alla povertà in questo continente. Devo dire che mi auguro davvero che le Nazioni
Unite riescano a riallacciare un dialogo politico in Mali, coinvolgendo appunto la
diplomazia africana e la diplomazia regionale. Pensare di risolvere la questione con
bombardamenti, temo sia una visione piuttosto miope. D. – Qual è lo scenario, dunque,
che si profila a breve, partendo dal presupposto che chiaramente è in corso un intervento
militare? R. – La mia impressione è che un’opzione militare, in questa regione,
rischi di scatenare a catena un’altra serie di conflitti, non solo a livello regionale.
Pensiamo alla posizione dell’Algeria, molto critica rispetto a questo intervento,
rispetto invece a Paesi come la Nigeria, molto più decisi riguardo all’opzione militare.
Il problema è che questi interventi cominciano, ma non si sa quando finiscono.