Dossetti, l'uomo che nella politica leggeva la storia
Quest’anno ricorrono i 100 anni dalla nascita di Giuseppe Dossetti, tra i padri della
Costituzione italiana, morto nel 1996. Una vita dedicata alla politica - nel 1945
fu vicesegretario della Dc - ma anche alla Chiesa, all'interno della quale dette vita
alla comunità monastica "La piccola famiglia dell’Annunziata". Insomma, un esempio
di coerenza. Ma cosa rimane oggi del suo pensiero? Alessandro Guarasci lo ha
chiesto allo storico Paolo Pombeni, che su Dossetti ha scritto un libro edito
da Il Mulino:
R. – Rimane
senz’altro la grande questione che lui ha posto: non si può fare politica senza essere
capaci di leggere la storia che ci scorre davanti. Purtroppo, oggi la politica tende
ad evitare questo sforzo, tende a rispondere a stimoli abbastanza superficiali…
D.
– Insomma, una politica fatta di forti ideali. Lei pensa che Dossetti abbia in qualche
modo fondato la sinistra democristiana?
R. – Guardi, io credo che più che aver
fondato la sinistra democristiana, Dossetti abbia fondato più in generale un modo
importante di fare politica che in Italia non aveva una grandissima tradizione. Infatti,
al di là del millenarismo socialista, la tradizione dell’altra grande forza politica,
che era il liberalismo, era una tradizione un po’ debole dal punto di vista del confronto
con i grandi temi del momento. In questo senso, è una lezione che va al di là della
sinistra democristiana, anche se la sinistra democristiana per lunghi anni è stata
il recettore più vivace e più ardito di questo modo di impostare l’azione politica.
D.
– Possiamo dire che Dossetti sia passato per la politica, pur non essendo questa la
sua meta?
R. – Certamente. Dossetti ritenne che questa fosse una delle tante
cose che un uomo consacrato – come lui si considerava fin dal suo ingresso nell’età
adulta – potesse fare. Era quello che gli richiedevano le circostanze e solo nella
misura in cui, dal suo punto di vista, le circostanze avessero avuto veramente bisogno
di lui. Nel momento in cui riteneva che questo non fosse necessario, ne avrebbe fatto
volentieri a meno. Quindi, da questo punto di vista Dossetti passa per la politica,
per delle contingenze, ma non disprezzando questo tipo di lavoro, bensì considerandolo
una chiamata, una missione. Solo che non è una missione definitiva, ma è una missione
temporanea che si raccorda con gli altri tipi di missione ai quali lui riteneva di
essere chiamato.
D. – Le cronache ci hanno parlato di un rapporto piuttosto
conflittuale con De Gasperi. Possibile che non ci furono punti di contatto?
R.
– Dossetti era, appunto, un uomo consacrato il cui fine fondamentale era quello di
dare testimonianza di quella che lui riteneva essere la verità e la chiamata, a prescindere
da tutto il resto. De Gasperi, che era una persona egualmente di fede profonda sul
piano personale, riteneva però di essere un professionista politico – nel senso alto
del termine, naturalmente – al quale la fede chiedeva di fare politica nel modo migliore
possibile. Il che voleva dire anche raggiungendo i risultati concreti migliori che
fossero possibili, anche se forse non erano i risultati più eccelsi. Dossetti subordinava
tutto ad una visione di lunghissimo periodo, mentre De Gasperi organizzava la sua
azione attorno a una visione storicamente più concentrata su ciò che era possibile
all’interno di un certo limitato numero di anni.