Tunisia: povertà ed egemonia islamista a due anni dalla rivoluzione dei gelsomini
La Tunisia ricorda il secondo anniversario della fuga del presidente Ben Ali, avvenuta
il 14 gennaio 2011 al culmine delle proteste che diedero inizio alla cosiddetta primavera
araba. Purtroppo, alla vigilia della ricorrenza, si registra un attentato incendiario
contro un mausoleo sufi nella città di Sidi Bou Said, nel nord, secondo alcuni da
collegare a un altro attacco avvenuto nei giorni scorsi a Marsa contro un altro luogo
di culto. A due anni dalla rivoluzione restano ancora molte problematiche nel Paese:
la crisi economica, la disoccupazione fuori controllo e lo stallo sulla nuova Costituzione.
Per un’analisi della situazione Marco Guerra ha intervistato Luciano Ardesi,
esperto di Nord Africa:
R. - Siamo tornati
in qualche modo alle cause che due anni fa provocarono la rivolta popolare nel Paese,
in modo particolare a cominciare dal Sud. La situazione sociale è molto tesa, la disoccupazione
non è stata assolutamente assorbita, il malcontento ha continuato a serpeggiare, tanto
più che il governo stesso in queste ultime settimane, in questi mesi, ha dimostrato
di non sapere sempre padroneggiare la situazione con misure adeguate alle aspettative
popolari.
D. – In Tunisia si è innescata la primavera araba e sempre in Tunisia
si è verificata la prima affermazione di un partito islamista. Che connessione c’è
tra questi due eventi?
R. – La rivolta è stata provocata dal malcontento economico
e sociale, oltre che dalla frustrazione e dalla mancanza di libertà. I fondamentalisti
non hanno giocato nessun ruolo nel cominciare la rivolta. Si sono dimostrati l’unica
forza politica organizzata. Il regime di Bel Ali aveva completamente distrutto il
sistema politico e aveva impedito l’emergere di una società civile. La Tunisia ha
vissuto questo vuoto che solo e soltanto i movimenti fondamentalisti hanno saputo
riempire e sono quelli che, anche in questi mesi, sono i più strutturati e meglio
organizzati e quindi hanno saputo imporre la propria egemonia, non solo sul piano
politico ma anche sul piano culturale.
D. – Si può parlare di un Paese spaccato
tra le spinte islamiste e le correnti laiche?
R. – Io credo che il confronto
sia ancora in corso e non si possa concludere con un’affermazione definitiva. Il Paese
è diviso in due e ci sono correnti diverse ma, come dicevo prima, per il momento,
il partito fondamentalista ha in mano l’egemonia culturale. C’è una forte resistenza,
naturalmente, dei movimenti laici, in modo particolare delle donne. Va detto però
che già durante il regime di Ben Ali, la Tunisia non era più quella che avevamo conosciuto
subito dopo l’indipendenza, con una forte impronta alla laicità. Già negli ultimi
anni e prima della rivolta popolare, la posizione delle donne si era indebolita. Dal
punto di vista culturale, la presa del potere da parte del partito Ennahda non fa
certo ben sperare in un miglioramento della situazione.
D. – A soffiare sul
malcontento è ancora la situazione economica. La Tunisia e il Maghreb non riescono
a trovare una via di sviluppo e un modello, come invece è successo per altre economie
del Terzo Mondo…
R. – La Tunisia soffre di un limite strutturale, c’è la povertà
delle risorse naturali, anche se ci sono quelle del petrolio, ma sono in via di esaurimento.
L’economia tunisina si poggia fondamentalmente sul fatto di aver ricevuto investimenti
da parte dell’Occidente, in modo particolare dell’Europa, e di avere un forte contributo,
in termini di valuta estera, dal turismo. La rivolta e i disordini che sono nati,
l’instabilità che da allora si è prodotta, non hanno certo favorito lo sviluppo sia
degli investimenti stranieri che del turismo. A questo si deve aggiungere la situazione
generale. La Tunisia e il Maghreb rimangono un’isola nel Mediterraneo. Non ci sono
scambi tra i diversi Paesi maghrebini, non creano correnti commerciali e correnti
di investimento e quindi sono singolarmente confrontati all’economia mondiale, la
quale è molto più forte delle singole economie tunisine e maghrebine. Questo costituisce
il vero e grosso handicap della Tunisia.