2013-01-12 13:16:57

Tunisia: povertà ed egemonia islamista a due anni dalla rivoluzione dei gelsomini


La Tunisia ricorda il secondo anniversario della fuga del presidente Ben Ali, avvenuta il 14 gennaio 2011 al culmine delle proteste che diedero inizio alla cosiddetta primavera araba. Purtroppo, alla vigilia della ricorrenza, si registra un attentato incendiario contro un mausoleo sufi nella città di Sidi Bou Said, nel nord, secondo alcuni da collegare a un altro attacco avvenuto nei giorni scorsi a Marsa contro un altro luogo di culto. A due anni dalla rivoluzione restano ancora molte problematiche nel Paese: la crisi economica, la disoccupazione fuori controllo e lo stallo sulla nuova Costituzione. Per un’analisi della situazione Marco Guerra ha intervistato Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa:RealAudioMP3

R. - Siamo tornati in qualche modo alle cause che due anni fa provocarono la rivolta popolare nel Paese, in modo particolare a cominciare dal Sud. La situazione sociale è molto tesa, la disoccupazione non è stata assolutamente assorbita, il malcontento ha continuato a serpeggiare, tanto più che il governo stesso in queste ultime settimane, in questi mesi, ha dimostrato di non sapere sempre padroneggiare la situazione con misure adeguate alle aspettative popolari.

D. – In Tunisia si è innescata la primavera araba e sempre in Tunisia si è verificata la prima affermazione di un partito islamista. Che connessione c’è tra questi due eventi?

R. – La rivolta è stata provocata dal malcontento economico e sociale, oltre che dalla frustrazione e dalla mancanza di libertà. I fondamentalisti non hanno giocato nessun ruolo nel cominciare la rivolta. Si sono dimostrati l’unica forza politica organizzata. Il regime di Bel Ali aveva completamente distrutto il sistema politico e aveva impedito l’emergere di una società civile. La Tunisia ha vissuto questo vuoto che solo e soltanto i movimenti fondamentalisti hanno saputo riempire e sono quelli che, anche in questi mesi, sono i più strutturati e meglio organizzati e quindi hanno saputo imporre la propria egemonia, non solo sul piano politico ma anche sul piano culturale.

D. – Si può parlare di un Paese spaccato tra le spinte islamiste e le correnti laiche?

R. – Io credo che il confronto sia ancora in corso e non si possa concludere con un’affermazione definitiva. Il Paese è diviso in due e ci sono correnti diverse ma, come dicevo prima, per il momento, il partito fondamentalista ha in mano l’egemonia culturale. C’è una forte resistenza, naturalmente, dei movimenti laici, in modo particolare delle donne. Va detto però che già durante il regime di Ben Ali, la Tunisia non era più quella che avevamo conosciuto subito dopo l’indipendenza, con una forte impronta alla laicità. Già negli ultimi anni e prima della rivolta popolare, la posizione delle donne si era indebolita. Dal punto di vista culturale, la presa del potere da parte del partito Ennahda non fa certo ben sperare in un miglioramento della situazione.

D. – A soffiare sul malcontento è ancora la situazione economica. La Tunisia e il Maghreb non riescono a trovare una via di sviluppo e un modello, come invece è successo per altre economie del Terzo Mondo…

R. – La Tunisia soffre di un limite strutturale, c’è la povertà delle risorse naturali, anche se ci sono quelle del petrolio, ma sono in via di esaurimento. L’economia tunisina si poggia fondamentalmente sul fatto di aver ricevuto investimenti da parte dell’Occidente, in modo particolare dell’Europa, e di avere un forte contributo, in termini di valuta estera, dal turismo. La rivolta e i disordini che sono nati, l’instabilità che da allora si è prodotta, non hanno certo favorito lo sviluppo sia degli investimenti stranieri che del turismo. A questo si deve aggiungere la situazione generale. La Tunisia e il Maghreb rimangono un’isola nel Mediterraneo. Non ci sono scambi tra i diversi Paesi maghrebini, non creano correnti commerciali e correnti di investimento e quindi sono singolarmente confrontati all’economia mondiale, la quale è molto più forte delle singole economie tunisine e maghrebine. Questo costituisce il vero e grosso handicap della Tunisia.







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