Sprecati ogni anno nel mondo due miliardi di tonnellate di cibo
Due miliardi di tonnellate è la quantità di cibo prodotto che ogni anno finisce buttato
prima che venga consumato. Un dato sconcertante che arriva dal report “Cibo globale:
non sprecare, non volere” della britannica Institution of Mechanical Engineers. Sotto
accusa i comportamenti dei consumatori nella scelta degli alimentari e i sistemi di
distribuzione e conservazione, che causano un’inutile perdita di risorse agricole,
suolo, acqua ed energia utilizzati per la produzione e la trasformazione dei prodotti.
Lorenzo Pirovano ha intervistato il professor Andrea Segrè, direttore
del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari dell’Università di Bologna
e presidente di Last Minute Market:
R. – E’ una
filiera agroalimentare mondiale inefficiente, sprecona. Lo spreco è a valle nei Paesi
cosiddetti sviluppati, mentre in quelli in via di sviluppo parliamo più propriamente
di perdite. Quindi è un problema da una parte di comportamenti e, dall’altra, di tecnologia
e di organizzazione.
D. – In quali passaggi del sistema si concentra lo spreco
di cibo?
R. – L’anello più debole, e anche quello più consistente, è lo spreco
domestico. Potrebbe essere una forbice intorno al 20 per cento in tutta la filiera.
Lo spreco domestico non è recuperabile, finisce direttamente nel bidone della spazzatura,
quindi si accumula nei rifiuti: ci costa e inquina.
D. – In Italia, come nel
mondo, quali sono i necessari cambiamenti sia nelle famiglie sia per quanto riguarda
il sistema della distribuzione del commercio?
R. – In Italia, nei Paesi cosiddetti
sviluppati, bisogna che il consumatore sia più responsabile, cercando di pianificare
i propri consumi come facevano nei corsi di economia domestica le nostre nonne. Invece,
nei Paesi meno sviluppati, il lavoro da fare è nell’organizzazione della filiera,
nella tecnologia, in modo che queste perdite si riducano; significa risparmiare soprattutto
delle risorse che sono limitate che noi, con questo consumo sfrenato, che poi finisce
nel bidone della spazzatura, stiamo appunto “consumando”.
D. – Quali sono i
margini di miglioramento in questo campo?
R. – Ce ne sono tanti e noi abbiamo
promosso la risoluzione europea contro lo spreco, che è stata votata al Parlamento
europeo esattamente un anno fa, dove ci sono una serie di indicazioni concrete che
i governi, gli Stati membri in questo caso, potrebbero già adottare. Per esempio,
cosa si potrebbe fare per mettere un po’ d’ordine sulle etichette? Questo “consumarsi
preferibilmente entro” del prodotto secco pensiamo che sia una scadenza definitiva,
ma non è vero. Si può andare anche oltre. Basta aprire la confezione e verificarne
il contenuto, ma legalmente si può andare oltre. Il prodotto fresco – lo jogurt, il
latte – ha una scadenza fissa, ma immaginiamo se ci fosse la possibilità di vedere
due scadenze come in alcuni Paesi, cioè da consumarsi entro una certa data – scadenza
commerciale – e poi portarlo a casa e sapere che per il consumo si ha un’altra settimana.
Terza misura, la regolamentazione delle vendite scontate. Va bene recuperare, ma se
quello jogurt che sta per scadere, me lo trovo al 50 per cento, lo compro pianificando
il mio consumo. E’ una questione che si risolverebbe veramente con poco, basterebbe
farlo.
D. – La crisi economica non ha suscitato soluzioni meno sprecone e
più virtuose nelle famiglie italiane?
R. – In parte sì. Si acquista di meno
- purtroppo anche il cibo – perché siamo in crisi. Quindi il dato sui rifiuti è diminuito.
Lo spreco, però, è diverso dal rifiuto. Dai primi dati che ho non è diminuito. Vuol
dire, quindi, che il nostro comportamento ancora non si è modificato. La crisi però
aiuta perché si comincia ad essere più attenti.