2013-01-12 13:07:18

Haiti a tre anni dal sisma: la testimonianza di una volontaria


Haiti ha ricordato le vittime del sisma che ha colpito l’isola il 12 gennaio del 2010. Da allora molte cose sono cambiate grazie alla solidarietà internazionale e alla determinazione della popolazione che ha reagito dinanzi alle difficoltà. Restano però molti i problemi da risolvere soprattutto nella lotta alla malnutrizione e nella sicurezza alimentare ma sono tanti i volontari presenti che aiutano. Tra di loro c’è Fiammetta Cappellini di Avsi, Associazione Volontari per il Servizio Internazionale, raggiunta telefonicamente ad Haiti da Benedetta Capelli:RealAudioMP3

R. - Sicuramente è cambiato molto nel corso di questi tre anni. C’è stato un enorme lavoro di accompagnamento della popolazione, di risposta all’emergenza e al volto di Haiti. Oggi tutto è estremamente differente rispetto all’immediato post catastrofe, per fortuna, perché sono stati momenti realmente drammatici per tutti quanti e durissimi per un lungo periodo. All’indomani del terremoto abbiamo contato tra i 250mila e i 320mila morti, a seconda delle differenti fonti, e un numero di sfollati superiore al milione, vicino al milione mezzo. A tre anni dal terremoto ci sono ancora 300mila persone che non hanno trovato una sistemazione definitiva e che vivono in alloggi di fortuna. E’ un numero ancora altissimo ma dice già il grande lavoro che è stato fatto in favore dei terremotati. Purtroppo, Haiti era un Paese molto difficile, molto povero e complesso, con equilibri fragili già prima del terremoto. Una catastrofe di questo tipo ha aumentato questa fragilità e tanti problemi non sono ancora risolti. Haiti resta un Paese poverissimo con una disoccupazione molto alta e con una percentuale della popolazione che vive sotto una soglia di povertà veramente altissima: si parla del 75 per cento della popolazione.

D. – Raccogliendo testimonianze di persone che lavorano ad Haiti, molti ci raccontano che la popolazione si sta un po’ abituando a questa situazione di emergenza e sembra accontentarsi di poco e forse bisognerebbe far fare uno scatto di orgoglio, di dignità. Tu ritrovi nella tua esperienza questa indicazione oppure puoi raccontarci qualcosa di diverso?

R. – In parte io confermo questo sentimento però è complesso valutarlo. All’indomani del terremoto si è detto molto bene, si è espressa ammirazione per questa capacità di resistenza della popolazione haitiana, della loro capacità di reagire, di cercare di adattarsi a quella che ormai era la nuova situazione, trovando strategie per sopravvivere. Adesso, a distanza di tempo la vediamo più negativamente. Io, però, trovo che la popolazione haitiana sia molto orgogliosa e quello che noi vediamo nell’implementazione delle nostre attività è che la prima richiesta è questa: dateci lavoro così che noi possiamo avere le risorse per rispondere alle necessità delle nostre famiglie. Trovo che questa sia una manifestazione di un grande orgoglio, di autostima, di desiderio di farcela. Purtroppo dare un lavoro a queste persone per noi è ancora una sfida molto difficile da risolvere.

D. – In Italia, tre anni fa, le immagini che vennero da Haiti furono scioccanti però l’opinione pubblica fu molto colpita dalla tua storia personale e dal fatto che sei rimasta ad Haiti, mandando in Italia il tuo bambino Alessandro. Oggi a distanza di questi tre anni rifaresti la stessa scelta?

R. – Sicuramente. Io non avevo alcuna possibilità di tenere il mio bambino qui con me in quel contesto. Come mamma non potevo pensare che questo fosse il bene del mio bambino. Ugualmente i nostri progetti, il nostro staff avevano bisogno che io restassi ed ero contenta di potermi rendere utile, di vedere che le nostre competenze erano realmente proficue per la gente. Quindi non è stata per me un’esperienza negativa, è stato duro come mamma, come genitore, separarmi dal mio bambino ma ho visto lui sereno, vicino a persone che gli hanno voluto bene e che l’hanno fatto crescere bene in questi mesi di lontananza. Rifarei assolutamente la stessa cosa.

D. - Oggi sei un po’ haitiana anche tu… Sei sposata e tuo marito è haitiano, hai una famiglia, ma che cosa ti spinge a restare in un contesto difficile come quello che hai descritto, quello di Haiti?

R. – L’impressione è che qui si viva una vita vera legata ai valori più veri e che appoggiare questa popolazione sia veramente costruire il futuro, dare una possibilità di futuro a un popolo che chiede principalmente questo. Pensare di poter dare un contributo, seppure molto piccolo, anche a prezzo di sacrifici, per me resta una motivazione fortissima.







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